Leonardo Lamacchia: essere onesto nelle domande, più che rassicurante nelle risposte

leonardo lamacchia

Leo è l’album di debutto di Leonardo Lamacchia, disponibile in distribuzione ADA Music Italy. Un disco che segna la maturità del cantautore pugliese capace di fondere itpop, musica elettronica e sfumature jazz. Leonardo Lamacchia riesce a raccontare, in otto brani, la complessità del presente e a catturare le emozioni più profonde con una sensibilità unica, rafforzata da una scrittura sincera e una produzione raffinata.

L’album si apre con la focus track Che cosa resterà di questi anni 20, un brano contemporaneo intriso di malinconia e dolcezza. Con synth e tastiere che richiamano il sound degli anni ’80 e atmosfere alla The Weeknd, il brano è un’istantanea del nostro tempo, segnato da guerre, incertezze e tensioni globali.  

Noi lo abbiamo intervistato, curiosi di vedere che cosa avesse da raccontarti riguardo questo nuovo capitolo importante in un percorso musicale come quello di Leonardo. 

Leo è un modo diretto, quasi confidenziale, di presentarsi. Cosa significa per te aver scelto proprio il tuo nome come titolo del primo album?

Leo è il modo in cui mi chiamano le persone che mi conoscono davvero, quelli che fanno parte della mia vita quotidiana. Usarlo come titolo è stata una scelta istintiva ma carica di significato.

Da un lato è una dichiarazione di identità: questo disco parla di me, senza filtri. Dall’altro è anche un gesto vulnerabile, quasi intimo: è come dire al pubblico “ecco chi sono, prendimi per quello che sono”. Non c’è nessun personaggio dietro cui nascondersi, solo verità.

C’è un brano che senti come il cuore pulsante del disco, quello che rappresenta di più chi sei oggi?

Sì, senza dubbio Che cosa resterà di questi anni ‘20. È una canzone che raccoglie molti dei temi che mi abitano: la precarietà, la paura di non lasciare traccia, il desiderio di comprendere il senso di ciò che viviamo.

Non dà risposte, ma si fa le domande giuste. E oggi, per me, è questo che conta: essere onesto nelle domande, più che rassicurante nelle risposte.

Quali sono stati i riferimenti – musicali o emotivi – che ti hanno accompagnato nella realizzazione di questo disco?

Musicalmente ho navigato tra mondi diversi: dalla scuola cantautorale italiana – penso a Battisti o Bersani – fino alle produzioni contemporanee più elettroniche e destrutturate, come quelle di Fred Again.. o Bon Iver.

Emotivamente, invece, sono partito da ciò che vivo ogni giorno: relazioni, notti insonni, partenze, ritorni, silenzi. La scrittura è stato un modo per dare forma a quello che altrimenti mi sarebbe esploso dentro.

C’è stato un momento preciso in cui hai sentito che eri pronto a far uscire un album intero, o è stato un processo graduale?

È stato un processo graduale, quasi invisibile. Per molto tempo ho scritto senza sapere se quelle canzoni avrebbero visto la luce. Poi, a un certo punto, ho capito che quelle tracce non erano più solo appunti sparsi, ma tasselli di un racconto più grande.

Non ho mai sentito di essere “pronto” in senso assoluto, ma ho capito che quelle canzoni meritavano di uscire. E che io, nel bene e nel male, ero finalmente disposto a farle ascoltare.

Come cambia il tuo rapporto con le canzoni quando passano dal disco al palco?

Dal vivo le canzoni prendono un’altra forma: diventano carne, voce, sudore. Sul palco capisco davvero cosa ho scritto: il pubblico reagisce, si emoziona, a volte canta con me. E lì, ogni parola torna a vivere. Anche quelle che pensavo di aver superato. È un passaggio fondamentale, che rende tutto reale.

Pagina Instagram Leonardo Lamacchia

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