Le rose e il deserto: la comunicazione più forte fra le persone deve nascere dalle emozioni più profonde

Si intitola Il tuo nome il nuovo singolo e video de Le rose e il deserto, nome d’arte del cantautore Luca Cassano, che per l’occasione si accompagna a Gnut, per un featuring di prestigio ma anche di sostanza. La canzone prende le mosse da un viaggio ipotetico con una persona che ormai non c’è più e si inoltra in ricordi e memorie, senza lasciarsi però portare via dalla malinconia. Abbiamo rivolto qualche domanda a Luca per chiedergli come nasce (e cresce) il suo nuovo brano, che anticipa il nuovo disco, Chissà com’è, in uscita per Level Up Dischi il prossimo 23 ottobre (qui il presave).

“Il tuo nome” nasce da un tema delicato come la perdita: da dove è scaturita l’urgenza di scriverla?

    Sì, “Il tuo nome” nasce dall’elaborazione del lutto per la morte di mia mamma. È stato un evento che, come ci si può immaginare, ha segnato profondamente gli ultimi tre anni della mia vita: l’idea di non essere più figlio e, forse, di non essere ancora pronto per essere adulto, la sensazione di aver perso le radici. La mia scrittura, di questa canzone come di ogni altro mio testo, canzone o poesia che sia, nasce sempre dal desiderio di esternare un’emozione, di mettermi a nudo, di comunicare.

    Credo che la comunicazione più forte fra le persone possa e debba nascere dalle emozioni più profonde; credo che mostrare le proprie vulnerabilità sia il modo migliore, più puro, più autentico di stare al mondo, in questo mondo che sempre più vorrebbe farci apparire forti e impermeabili alle emozioni.

    La collaborazione con Gnut aggiunge una profondità particolare al brano: come si è sviluppato il vostro incontro artistico?

      Claudio è una persona davvero speciale: ci siamo incontrati a Reggio Emilia nel 2018 in occasione di un suo concerto che io aprivo. Passammo molte ore insieme, sia prima che dopo il concerto parlando di tutto, scambiandoci opinioni, consigli (lui a me) e complimenti, e ci lasciammo con la promessa che prima o poi lui avrebbe cantato su una mia canzone. Ci abbiamo provato senza riuscirci per il mio primo e secondo disco.

      Lo scorso autunno gli feci sentire Il tuo nome pensando che il tema trattato avrebbe sicuramente toccato la sua sensibilità e lui, con l’enorme generosità che lo contraddistingue, a gennaio di quest’anno ha trovato il tempo di cantare un pezzo della canzone. È stato un grandissimo regalo che Claudio mi ha fatto.

      Nei tuoi lavori emerge sempre una forte attenzione alla parola, tanto che scrivi anche poesie: quanto pesa la scrittura nella tua identità musicale?

        Dico da sempre di essere uno scrittore con la chitarra: la cosa che mi viene più spontanea è scrivere. Da un po’ di tempo, tra l’altro, scrivo molte più poesie che canzoni: ho scoperto che la mia forma di comunicazione più naturale sono poesie brevi, dieci/dodici versi sciolti.

        E mi piace pensare al fatto che questo autunno usciranno, quasi in contemporanea il mio terzo disco Chissà com’è (in uscita giovedì 23 ottobre) e la mia terza raccolta poetica Nodo antico (peQuod, in uscita la prima settimana di novembre). Anche se può sembrare esagerato, ti direi che le parole, scritte, ma prima ancora lette, sono la mia vita.

        L’arrangiamento alterna delicatezza e intensità: come avete lavorato per raggiungere questo equilibrio?

          Io e Alessandro Sicardi (co-produttore e arrangiatore del disco, nonché basso, synth, chitarre e cori) ci siamo visti nel suo home studio uno o due pomeriggi a settimana per più di un anno. Ci siamo concessi il lusso di prenderci il tempo, la calma, per provare, sperimentare, disfare le cose che non ci piacevamo, prendere strade e tornare indietro, curare i dettagli…oh quanti dettagli cura Alessandro!

          È stato davvero un bel viaggio fare questo disco con Alessandro. Il lavoro è iniziato con delle demo chitarra e voce registrati da me con il telefono: quindi diciamo che siamo partiti dai testi, dalle melodie e dalle armonie (che in molti casi abbiamo modificato). Dopo di che abbiamo fatto degli ascolti condivisi, e ci siamo lasciati influenzare l’un l’altro.

          Nei tuoi concerti hai condiviso il palco con artisti molto diversi tra loro: che cosa hai imparato da queste esperienze?

            Sì, ho avuto la fortuna di condividere il palco con un sacco di bella gente. Te ne nomino tre su tutti: Federico Sirianni, Sandro Joyeux e lo stesso Gnut. Guardare artisti con molti più anni di esperienza di me fra palchi, studi di registrazione e strade in su e in giù per l’Italia mi ha sempre incuriosito, ho sempre cercato di capire quale fuoco gli bruciasse dentro.

            Federico Sirianni, per esempio, è un cantautore che ha vinto tutti e quattro i premi maggiori per la nostra categoria (Tenco, Bindi, Lunezia e Musicultura) e nonostante questo palmares d’onore macina decine di migliaia di chilometri e qualche centinaio di serate all’anno. Di Gnut ho amato la trasparenza, la delicatezza, la capacità di stare sul palco sussurrando, eppure cantando di grandi passioni. E poi Sandro, oh Sandro: lui è energia allo stato puro!

            A che punto del tuo cammino ti trovi e quale strada intravedi per il futuro?

              A che punto sono? Chi può dirlo. Sto camminando, mi godo i passi, la leggera fatica nelle gambe, magari do un’occhiata al paesaggio. Scherzi a parte: sono un neoquarantenne che sta per pubblicare il suo terzo disco: se dieci anni fa mi avessero detto che nel 2025 avrei pubblicato il mio terzo disco mi sarei fatto una grassa risata. Nel futuro prossimo ci sono, come dicevo prima, il disco e la raccolta di poesie. Per quanto riguarda live per presentare il nuovo disco…vediamo.

              Pagina Instagram Le rose e il deserto

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