Alessia Scilipoti è una flautista contemporanea che ha appena pubblicato il suo nuovo disco intitolato Fragile. Attraverso questo lavoro, l’artista esplora le molteplici sfumature del flauto traverso, combinando tecniche tradizionali e moderne per creare un linguaggio sonoro ricco di introspezione e delicatezza. La sua musica si distingue per l’equilibrio tra fedeltà al testo musicale e libertà interpretativa, offrendo un dialogo continuo tra la visione del compositore e l’espressività personale dell’interprete.
Fragile nasce dalla volontà di far emergere l’intimità dello strumento e la sensibilità dell’artista, attraverso brani che richiedono un ascolto attento e consapevole. L’abbiamo intervistata.
Il flauto può avere sonorità molto diverse a seconda delle tecniche impiegate: quali sono quelle che usi più spesso e come le scegli in base al brano?
Il flauto del Novecento è stato oggetto di grandi sperimentazioni, e molto repertorio è nato grazie al grandioso operato di Severino Gazzelloni. Da allora, l’uso delle tecniche estese si è ampliato e oggi esistono moltissimi flautisti di altissimo livello che lavorano in questa direzione. Io sostengo la ricerca e la sperimentazione, ma solo se sono contestualizzate e usate con criterio: una tecnica, per quanto affascinante, deve sempre essere al servizio dell’idea musicale. Oggi la ricerca si spinge ben oltre: verso nuovi linguaggi, materiali sonori e modalità di interazione tra interprete e strumento. Osservo con grande curiosità, pur non avendole ancora utilizzate direttamente nel mio lavoro.
Nelle tue interpretazioni, quanto spazio lasci all’improvvisazione e come bilanci la libertà espressiva con la fedeltà al testo musicale?
Prendo il ruolo dell’interprete con grande serietà: è un ponte tra il compositore e il pubblico, e va attraversato con rispetto e consapevolezza. Quando studio un nuovo brano, parto sempre dall’analisi del testo, cercando di comprendere le intenzioni dell’autore e di rispettare quanto più possibile i segni sulla carta.
Indipendentemente dall’epoca, però, il simbolo musicale non riuscirà mai a spiegare tutto: già nel Seicento veniva scritta soltanto una parte di ciò che realmente si suonava, e lo stesso accade oggi con la musica contemporanea. Per questo, in una seconda fase, lascio spazio alla mia visione della composizione: credo che l’interprete completi il lavoro del compositore, aggiungendo quella componente viva e personale che permette alla musica di iniziare il suo viaggio verso le anime di chi ascolta.
Quando affronti un nuovo pezzo o progetto, qual è il tuo processo di studio e preparazione, dall’analisi del testo alla performance finale?
Il processo di preparazione di un nuovo pezzo inizia molto prima di suonare la prima nota. Mi dedico a ricerche sul compositore, sul contesto storico e sul significato del brano. Se esistono registrazioni, ascolto le interpretazioni di altri musicisti — non per imitarle, ma per comprendere i diversi approcci e intuire nuove possibilità.
Soltanto dopo questo lavoro di immersione comincio a suonare effettivamente, lasciando che il pezzo cresca dentro di me nel tempo. Spesso mi accorgo che un brano continua a maturare anche dopo periodi di pausa: cambia con me, con le fasi della vita e con le emozioni del momento.
Come scegli e lavori con gli altri musicisti o ensemble con cui collabori, e in che modo questo influenza la tua interpretazione del flauto?
Nei recital per flauto solo mi diverto molto: sono momenti di libertà assoluta, in cui posso dare forma a un dialogo intimo tra me e il pubblico. Ma lavorare in ensemble è completamente diverso: la musica si costruisce insieme, cresce attraverso il confronto e dipende dal background e dallo stato d’animo di ciascun musicista in quel momento. Fondamentale, per sopravvivere e crescere nel lavoro da camera, è saper ascoltare davvero, sviluppare empatia e rispetto reciproco. La qualità della musica è sempre il riflesso diretto del clima umano che si crea all’interno del gruppo.
Ci sono sfide particolari che incontri nel rendere il flauto protagonista in contesti non classici o in progetti contemporanei, e come le affronti?
Le sfide per rendere il flauto protagonista, soprattutto in contesti contemporanei o non classici, sono molte: è uno strumento che non nasce con una vocazione solistica forte quanto altri. Ma credo profondamente nella molteplicità di voci del flauto solo e continuo a proporre recital dedicati esclusivamente a questo repertorio. Ho imparato quanto sia importante accompagnare la musica con un metalinguaggio, raccontarla prima di suonare, per permettere a chi ascolta di entrare nel mio mondo sonoro, indipendentemente dal suo livello di conoscenza musicale. La mia missione è portare la musica nella vita delle persone — offrire, anche solo per un’ora, un viaggio interiore guidato dal respiro di un flauto traverso.
