Gio Evan porta a Genova il suo spettacolo “L’affine del mondo” #livedellasera

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Mercoledì 26 novembre alle ore 21 il Teatro Ivo Chiesa di Genova accoglie il nuovo spettacolo-concerto di Gio Evan, L’affine del mondo, prodotto da Friends & Partners e organizzato in città da Ops Eventi, la realtà che negli ultimi anni ha portato a Genova e in Liguria festival e produzioni di livello nazionale e internazionale, come l’estiva Altraonda al Porto Antico.

L’affine del mondo è uno spettacolo che unisce poesia, musica, comicità, fisica quantistica e parola-terapia: una narrazione che parla di connessione, ascolto e relazioni, in un mondo che ha bisogno di ritrovare affinità più che confini. Evan, artista poliedrico, scrittore, poeta, filosofo, performer, cantautore, porta in scena un percorso che affonda le sue radici nel viaggio, nella spiritualità, nel nomadismo creativo e nella ricerca interiore che lo caratterizzano da anni.

In occasione del suo ritorno a Genova, lo abbiamo intervistato.

Che cosa dobbiamo aspettarci dallo spettacolo di domani?

In realtà spero niente. Le aspettative fanno sempre grandi danni e lasciano il tempo che trovano. Però portiamo a teatro tutto il nostro repertorio artistico: ci sarà tanto parlato, tante parole scombinate, tanta musica e molti visual. Colleghiamo tutto ciò che ci piace fare. Abbiamo semplicemente dato un racconto a quello che facciamo ogni giorno.

Come sei riuscito a far convivere tutti questi linguaggi senza farli collidere?

Con la pazienza delle idee e con la fiducia. Sembra banale, ma non lo facciamo quasi mai: ci abituiamo ad avere mille piani B, e se un’idea non funziona la cambiamo subito. Io invece ho deciso di fidarmi ciecamente di un solo concetto: la parola-terapia, l’affinità, il modo di relazionarci. Da lì è nata la storia. E quando il pensiero è unito, racconto e canto stanno bene insieme. Lo sapevano già gli antichi, e lo hanno fatto i nativi americani. Perfino la Disney ne ha fatto un culto.

Questo crea anche un legame particolare con il pubblico, diverso da un semplice concerto…

A me non è mai piaciuto, nemmeno da spettatore, andare a vedere un artista che sale sul palco, fa il disco e se ne va. Per quello ho Spotify. Se vado a un concerto, voglio che l’artista mi racconti di sé, voglio vedere cose che non posso trovare in giro. Altrimenti, perché mi sono scomodato? E sento che devo farlo anch’io, perché mi piace tantissimo e perché vorrei avere lo stesso servizio quando vado fuori.

È forse anche il motivo per cui hai conquistato un pubblico molto fedele…

Sì, però non è sempre positivo: magari qualcuno pensa “adesso quanto chiacchiera questo”, quando vorrebbe solo ascoltare le canzoni (ridiamo insieme).

La tua arte nasce dai viaggi, dagli incontri… immagino abbia influenzato il modo in cui stai sul palco.

Assolutamente. Io ho imparato il teatro adoperando la strada, vivendo in Sud America, in Brasile, dove il teatro pullula per strada. È quello il mio mondo, più che i sabati sera al teatro in famiglia. Ho sporcato un po’ tutto, ecco… mea culpa.

Parliamo di Genova. Non è la tua prima volta: c’è qualcosa che ti lega alla città?

Io non sono molto radicato in Italia, ma ci sono luoghi con cui mi trovo bene, e il vostro è uno di questi. È il primo posto che ho fatto conoscere a mio figlio: il suo primo viaggio l’ho fatto fare qui. Ho grandi amicizie, e poi avete un reparto cantautorale abbastanza… marcato, diciamo così. (Sorride) Lo so che sembra che lo dica a tutte le città, ma ti assicuro che è la verità. In Italia ci sono tre, quattro città grandi ma non spropositate, che riescono a contenere l’umanità. Bari, Bologna… e Genova. Sono cittafobico, ma qui mi trovo comodo.

Stai già lavorando a nuovi progetti?

Sì. Durante il tour sento il bisogno di esprimere un concetto sull’invisibilità. Non posso dirti altro. Non so ancora cosa diventerà, non so cosa vuole da me. Voglio lavorare sulla percezione dell’invisibile, e su come le culture antiche ci si muovevano dentro. Probabilmente diventerà un libro, perché quando non so cosa fare… diventa un libro.

Il tuo percorso creativo sembra sempre in divenire. Non decidi mai prima cosa creare?

Mai. Io sono un mezzo di questa meraviglia. Non scelgo, non decido: vengo posseduto da non so cosa. Arrivano concetti, forme, idee che esigono di essere dette da me. E io divento di nuovo un cameriere dell’arte.

Qual è la cosa che ti ha stupito di più tra quelle che hai creato così?

Questo spettacolo, L’affine del mondo. Non mi aspettavo un riscontro così positivo, né di riempire tanti teatri. Fino all’ultimo non sapevo che spettacolo volevo fare. Poi, quando ho abbandonato l’idea che dovevo per forza metterci il mio ego, lo spettacolo è arrivato da solo, in pochi minuti. Non me l’aspettavo proprio.

Pagina Instagram Gio Evan

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