Si chiama L’ego il nuovo disco di Pierpaolo Lauriola, anticipato dal singolo/video Yalla e caratterizzato da otto brani di carattere differente ma tenuti insieme dalla voglia di raccontare storie (qui la recensione): ecco la nostra intervista con il cantautore.
Partiamo dal titolo: perché “L’ego” e quali sono state le premesse di questo disco?
L’ego è un album che parla della consapevolezza di sé e della propria identità e di come la musica può insegnarci l’arte del timing. Descrive quella che è la visione del mondo e dei rapporti umani, ma con il preciso intento di reagire, anche attraverso la musica.
Nel disco si parla di guerre. Tutte le guerre. Da quelle quotidiane, a quelle dell’informazione, alle guerre dell’editoria, le guerre da ufficio, le guerre di chi ha perso un posto di lavoro, ognuna con il preciso scopo di ampliare il proprio potere e la propria affermazione dell’io, dell’ego.
Qual è la storia dietro “Yalla”?
Ho scritto Yalla a seguito delle mie chiacchierate con Laura Silvia Battaglia. Lei è una giornalista freelance che è stata anche in Libia, Iraq e nello Yemen.
Mi ha raccontato le sue esperienze in guerra. In arabo Yalla! Vuol dire “Su!”, “Tirati su!”, “Muoviti!”. E’ un’incitazione. Yalla è una canzone sull’abbandono e sull’assenza. La guerra è una follia. Quella guerra che mi raccontavano i miei nonni avendola subita in particolare durante al Seconda Guerra Mondiale.
Così quest’estate ho fatto un viaggio dal Gargano, che è stato il luogo di partenza fino ad arrivare ad Auschwitz e Birchenau, in Polonia. Yalla è il respiro d’amore che segue anche quell’esperienza.
Come nasce “The Dreamers”, l’unico pezzo in inglese del disco?
The Dreamers doveva essere una canzone multilingua. In the city that made us love l’ho immaginata ripetuta in tutte le lingue. E nei live lo sarà e ne esiste una versione multilingue. La storia raccontata in The Dreamers è quella di due amanti divisi dalla guerra.
Mentre sono in guerra si fanno una promessa. Dopo che la guerra sarà finita si rincontreranno a Roma. We are dreamers. Il grido è: uscire per un giorno dalla precarietà per godersi il momento e renderlo eterno.
Tipico di queste generazioni in continuo movimento. I figli della vita liquida, come direbbe Zygmunt Bauman, in viaggio verso un eterno andare alla ricerca di una felicità che spesso viene cercata proprio dove si celano i veri motivi di una tristezza globale. L’odio e la sopraffazione. La ricerca del potere che ci costringe a essere schiavi.
Ma quanta consapevolezza c’è in questo? E quanta voglia c’è realmente di abnegare al potere in cambio di libertà? Di un Io meno liquido?
I due amanti protagonisti della canzone si rincontreranno a Roma, come in quel sogno di promessa mantenuta. Dopo molti anni. Nella città eterna che li vedrà amare per l’ultima volta. Dopo la notte passata insieme forse qualcosa è cambiato.
Le nuove esperienze pesano. Ora sono due persone diverse e quello che poteva essere un nuovo inizio diventa un nuovo addio. E continueranno nelle loro vite a essere degli eterni sognatori.
Il disco è anche un prodotto della tua collaborazione con Adel Al Kasseim: puoi descrivere il vostro rapporto e in che modo ha contribuito al tuo lavoro?
Conosco Adel ormai dal 2011. Da quando abbiamo registrato Polvere. Nel frattempo abbiamo maturato una bella complicità sul lavoro che rende spesso le cose fluide e naturali. A tutti e due piace sperimentare, provare, cambiare rotta e fare nuove scoperte.
In questo disco ho suonato tutti gli strumenti e Adel mi ha aiutato molto aggiungendo la Kora in Yalla, alcune parti di batteria in alcune canzoni e sulla produzione del disco. Uno dei momenti più belli della registrazione del disco che io ricordo è stato durante le riprese de L’avventura e di Dentro a un bicchiere.
Sono due canzoni che si sviluppano su un apertura di coscienza molto live. Adel mi suggeri di aprire i microfoni e cominciare a suonare a ripetizione. Così ho suonato questi due brani tante volte dal vivo. Quelle che sentite ora sono le versioni scelte.
Un altro pezzo di cui mi interesserebbe conoscere la genesi è “L’avventura”.
L’avventura l’abbiamo registrata live con chitarra acustica, loop station e voce. Il titolo del brano riprende un film di Michelangelo Antonioni. L’avventura fa parte della trilogia esistenziale o dell’incomunicabilità.
Un film che si colloca tra La Notte e L’eclisse. Ma l’avventura è anche una componente importante di un viaggio. E L’EGO ti porta on the road attraverso quei sentimenti più profondi. A un certo punto della canzone c’è un inserto di Thomas Edison dove lui racconta di questo giro del mondo su un grammofono.
Edison inventò il fonografo. Padre del grammofono e quindi dei sistemi più attuali di diffusione sonora. Una di quelle invenzioni che ci hanno modificato l’esistenza come ascoltatori passando dal vinile e arrivando fino a oggi, allo streaming.
Edison contribuì in maniera determinante anche a un’altra invenzione affine, ovvero, al telefono brevettato da Bell l’anno precedente con i suoi studi sul microfono e sulla membrana elastica che di fatto dava un senso udibile agli impulsi elettrici. L’ascolto di musica sui device è il trait d’union con l’invenzione di Edison che ci porta fino ad oggi.
Curiosità: ho letto nelle note che Marco Rossi ti ha regalato un Fender Jazz Bass del ’66 con cui hai suonato tutte le parti di basso… Com’è andata la faccenda e che sensazioni ti ha trasmesso questo strumento?
Più che un regalo è stato un prestito. Un bel regalo in quel senso è stato bello poter utilizzare strumenti costruiti bene. In L’EGO ho fatto molta attenzione alle sonorità e al suono naturale degli strumenti pur lavorandoci su in produzione coinvolgendo tanta elettronica.
Ma la materia prima è live. Il fascino che hanno gli strumenti come il Jazz bass è che hanno un suono che gli da già una connotazione temporale.Hanno personalità. Così parlando con Marco è nata l’idea di usarlo per le parti di Basso del disco.
