Gli aabu con Stammi vicino lasciano indietro i muri di chitarre e l’essenzialità ruvida del passato per approdare a una scrittura più aperta, stratificata e contaminata. Dentro il disco ci sono synth, elettronica, strumenti acustici e soprattutto un’urgenza emotiva che parla chiaro: non basta la forma, serve sostanza e vicinanza. Li abbiamo intervistati per entrare nel cuore di un disco che parla di coraggio, empatia e contatto reale.
Nelle vostre canzoni la fragilità non è nascosta, ma rivendicata. La considerate una scelta anche politica?
Assolutamente sì. In un momento storico in cui mostrare umanità sembra quasi un atto di resistenza, per noi diventa naturale — e necessario — raccontare quanto sia fondamentale restare umani. Con il mettere a nudo la nostra intimità vogliamo creare vicinanza, sentirci parte di qualcosa, costruire comunità attraverso l’ascolto, il dialogo e la comprensione.
Tutto parte dalla comprensione e dall’accettazione delle proprie fragilità, delle insicurezze, delle imperfezioni. La vera sfida è trovare il coraggio di raccontarle. L’essere umano ha bisogno di ritrovare umanità, e noi lo sappiamo bene — nella vita di tutti i giorni, come nel mondo in cui viviamo. Stammi Vicino è il nostro modo per ricordarlo, a partire da noi stessi.
Quanto è difficile parlare di solitudine, depressione e crisi esistenziali in un contesto musicale che spesso celebra solo forza e successo?
Per noi la musica è sempre stata una forma di esorcismo. È il modo in cui impariamo a guardarci dentro, a capire e affrontare le nostre difficoltà — insieme. Non è mai stata una scelta estetica, ma una necessità. Un’urgenza.
Fare musica per noi significa urlare che ci siamo, che “sentiamo” ancora, che abbiamo bisogno di farlo. Il nostro successo è vedere le persone ritrovarsi dentro le nostre parole, smuovere qualcosa in loro. Questo conta davvero.
Non ci interessa apparire forti o invincibili: non lo siamo. Punto. La forza, per noi, si misura in base a ciò che si è disposti a perdere o a mettere in discussione. È da questa consapevolezza che nascono le nostre canzoni.
Fratello dove sei è un brano che parla di gratitudine silenziosa: come nasce questa scelta di raccontare la fratellanza?
Siamo una band di quattro persone. Quattro amici, prima ancora che musicisti. Ma, soprattutto, quattro fratelli. Abbiamo avuto la fortuna di condividere la vita con un fratello vero, e ci siamo resi conto che spesso diamo per scontato l’amore che ci lega. A volte non troviamo le parole per dirlo, per far capire quanto siano stati importanti per noi.
Pensiamo che il loro affetto sia un dato di fatto — e forse lo è — ma ogni tanto è giusto rompere il silenzio e dirlo ad alta voce. Fratello dove sei nasce proprio da lì: dal bisogno di ringraziare, anche senza troppi giri di parole.
La vicinanza, nel disco, è presentata come forma di resistenza. In che modo questa idea si collega alla vostra visione del presente?
Come dicevamo prima, il mondo ha un bisogno disperato di umanità. Il presente è un periodo buio, in cui sembra mancare proprio ciò che dovrebbe unirci: accettazione, integrazione, ascolto, curiosità, condivisione.
Viviamo invece un’epoca segnata da rifiuto, odio, egoismo e paura della diversità. Con “Stammi vicino” volevamo reagire a tutto questo. Se dovesse diventare un piccolo inno alla resistenza emotiva, alla voglia di restare umani nonostante tutto, allora ben venga. È il nostro modo per dire che non bisogna mai smettere di lottare. Mai.
Vi riconoscete in una tradizione di artisti che hanno usato la musica come strumento di denuncia e di condivisione emotiva?
Riconoscerci, rispecchiarci o fare paragoni con altri artisti ci mette sempre un po’ in difficoltà. Ascoltiamo sempre tantissima musica, sia internazionale che italiana. Sicuramente in questo lavoro è emersa con più forza la nostra parte più cantautorale, che in fondo è sempre stata lì, anche nei dischi precedenti.
Se dovessimo citare un nome che ha accompagnato la nostra routine musicale e che ha ispirato le nostre menti, probabilmente sarebbe Niccolò Fabi. Ammiriamo la sua capacità di raccontare sentimenti profondi con parole semplici. Nei suoi testi ci ritroviamo, ci riconosciamo. Ci ha spesso consolati, quasi fosse un terapeuta silenzioso. Gli vogliamo molto bene, davvero.
E se riuscissimo ad arrivare alle persone anche solo la metà di quanto lui arriva a noi… sarebbe già una vittoria enorme.
