Accame presenta Non sarà facile, disponibile su tutte le piattaforme digitali: un brano che parla della guerra, della difficoltà del riprendere in mano la propria vita quando tutto è stato spazzato via. Un punto di vista toccante e profondo, accompagnato da un sound rock cantautorale malinconico. Abbiamo intervistato l’artista.

Da dove nasce l’idea di scrivere una canzone sulla guerra?

Non sarà facile è una canzone che ho scritto tredici anni fa, una notte dopo aver visto un servizio sui conflitti armati, lo stesso notiziario mi aveva toccato ed era nata l’esigenza di dire qualcosa nell’unico modo che mi riesce meglio e cioè con la musica.

La canzone poi è rimasta in sospeso per tutto questo tempo e forse gli avvenimenti di questi ultimi anni hanno acceso in me il desiderio di farla conoscere al pubblico. Mio malgrado mi sono reso conto che nonostante tutti questi anni, certe cattive abitudini restano sempre le stesse, purtroppo.

La smania di abuso e di potere da parte di alcune persone nei confronti di chi a volte non ha neanche i mezzi per difendersi non passa mai e tutto questo crea solo di distruzione e sofferenza, da entrambe le parti. In un conflitto non ci sono vincitori e vinti, soltanto perdenti a mio avviso.

Nel brano racconti un punto di vista molto empatico, ma anche distante. Come hai lavorato sull’immedesimazione pur non avendo vissuto in prima persona un conflitto?

Come ti dicevo il servizio mi aveva toccato profondamente, poi credo di avere anche una forte immaginazione dalla mia e quindi ho provato a immedesimarmi in chi quelle pene le ha vissute e le vive tuttora.

Ho arpeggiato la chitarra nel silenzio della notte, piano perché non volevo svegliare nessuno e immaginato di dialogare con una sorta di “lettera aperta” scritta da un soldato a un altro soldato, da uomo a un altro uomo, da un padre a un altro padre, questo nella maniera più semplice e naturale possibile perché secondo me non servono tanti giri di parole per descrivere una cosa che vuoi che capiscano tutti indistintamente.

Nella canzone Le mie cure dico “nelle tue vene scorre sangue come scorre a me”, cosa ci sarebbe di diverso tra persone di etnie e culture diverse che possa sostenere uno scontro fisico quindi? Io proprio non riesco a darmi una risposta a questa domanda e questo mi dispiace molto.

Secondo te, la musica ha ancora il potere di scuotere le coscienze oggi?

Se ha il potere di scuotere non lo so, ma so che la musica deve provarci in ogni modo. Ovviamente noi cantanti non abbiamo la bacchetta per fare miracoli ma, nel nostro piccolo e con le nostre parole, possiamo essere fonte di ispirazione per chi magari può o avrà i mezzi per fare qualcosa di concreto in futuro. Il cambiamento incomincia dal basso e bisogna insegnare alle nuove generazioni a rispettarsi di più.

Com’è stato lavorare con il tuo team creativo? Ci racconti qualcosa di più su Gabriele Pallanca, Fabio De Angelis ed Enrico Pianigiani?

La mia squadra è speciale, sono loro gli artefici di quello che giunge alle vostre orecchie. Gabriele Pallanca della Genova Records è un bravo arrangiatore nonché fonico ed è anche il mio vocal coach personale oramai, comprende il mio mondo artistico e mi aiuta a tirarlo fuori al meglio.

Fabio De Angelis è un bravissimo produttore romano, è sorprendente come riesca a immaginare una canzone finita da una semplice traccia di chitarra e voce. Mescola sonorità classiche e moderne con il giusto equilibrio, poi ha un orecchio molto allenato ed esegue dei mix e master di livello eccelso.

Enrico Pianigiani è un bravissimo Ingegnere del suono che ha lo studio nelle zone dove vivo e da lui solitamente registro i provini iniziali delle mie canzoni nonché le chitarre acustiche definitive. La sua esperienza e i suoi consigli mi sanno già indirizzare nelle giuste direzioni, prima e dopo.

Il provino iniziale non va trascurato ma è molto ma molto importante perché esprime già il mondo e il modo musicale che vorrai dare al tuo brano e questo non è un dettaglio da trascurare se vuoi vestire le tue canzoni con l’abito perfetto.

Poi ci sono altre persone ma verrà sicuramente il momento di citare anche loro siccome sto collaborando a dei nuovi progetti che usciranno a breve, spero.

Nel 2024 hai deciso di abbandonare il nome “Giù” per diventare semplicemente “Accame”. Cosa rappresenta per te questo cambiamento?

Passare da Giù ad Accame è molto semplice nella sua logica. Accame ora fa le cose sul serio, non registra e non produce più in casa, si avvale di professionisti molto seri e preparati, produce musica di qualità per quanto possibile e con il budget personale, che sacrifica ad altro e che non è mai abbastanza per fare tutto quello che vorrebbe, ma Accame lo fa ed è molto felice di farlo perché Accame vuole emergere e vuole far diventare questa passione un lavoro.

Eh eh, Diciamo che ho le idee chiare in merito, poi cosa accadrà non lo so ma se non si prova non si saprà mai. Approfitto tra l’altro per dire che se qualcuno è disposto a investire sulla mia arte sono pronto a valutare un proposta di collaborazione nell’interesse di tutti quanti.

Hai chiuso il tuo messaggio con un hashtag potente: #RiAmiamoci. Cosa significa davvero per te?

“Riamiamoci” per me è un monito di speranza perché a volte ho come l’impressione che tutto questo benessere ci abbia incattiviti e messi in competizione l’uno con l’altro.

Come dice un’altra mia canzone Siamo ancora qui: “te lo ricordi anche tu che ci stavamo bene/con un bicchiere di vino su quel motorino e non ci serviva di più/te lo ricordi anche tu?”

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