Secondo disco per i Mamavegas: è Arvo il nuovo lavoro, suonato per la prima volta insieme da tutti i sei membri, in sala prove, come si faceva una volta.
Elettronica, pop, psichedelia e svariate altre etichette si mescolano nei dieci brani che vanno a costituire l’album, caratterizzato da un’ottima ricerca del suono giusto e da una versatilità rimarchevole.
Si parte in modo piuttosto rumoroso ma controllato con Blessed and Gone, tra cori di bambini e un’ossatura robusta per una canzone gentile.
Si prosegue con il pianoforte di Wonder Tortilla, con un consistente lavoro di basso a tenere insieme un brano piuttosto fantasioso e ricco di svolazzi.
Ten Days parte da un coro tipo chiostro di frati per spingersi poi nelle altezze siderali della stratosfera psichedelica. P-Syndrome ha un andamento mosso, con qualche sorpresa durante il percorso come al solito.
Molto tranquilla The Flood, con pianoforte e batteria in grande evidenza e l’intensità che cresce in modo continuo e moderato, fino al cameo di una chitarra elettrica piuttosto smodata, fino a un finale a pieni polmoni.
Percussioni ed elettronica ci accompagnano all’interno del sottobosco di January 19, che poi si apre a giochi di colore differenti, proseguendo nell’alternanza di chiaro e scuro per tutto il pezzo.
Ingenti dosi di elettronica anche all’interno di Count to Four, ma carattere diverso per una canzone più soffice e serena, con un retrogusto di pop British.
Ritmo più consistente per Shimmer, che parte con delicatezza e poi decolla per cieli differenti, quasi beatlesiani. E’ piuttosto rumorosa l’introduzione di On My Knees, che però al di sotto delle percussioni stende veli sottili e anche qualche idea blues.
Il sipario cala su Last Call, con introduzione di chitarra acustica
Ci sono scultori che amano riprendere all’infinito lo stesso soggetto, cercando di catturare in ogni pezzo una sfumatura leggermente diversa. E poi ce ne sono altri che a ripetere due volte la stessa opera morirebbero di noia.
I Mamavegas non soltanto assomigliano a questa seconda categoria, ma a volte sembrano non volersi annoiare anche all’interno della stessa canzone, che spesso guizza per torrenti diversi, pur senza perdere di omogeneità.
Il risultato è una sensazione di libertà diffusa e generalizzata, nonché un disco che pur non volendosi distaccare troppo dai canoni del rock-pop, ottiene soluzioni molto spesso del tutto originali.