Opus magnum per i Barely Awake, che hanno pubblicato un disco omonimo da quasi un’ora e sedici tracce, in cui condensano l’esperienza maturata lungo tour europei ricchi di math rock e influenze hardcore, ma anche di un sound molto diversificato.

La band pesarese, che autogestisce anche l’artwork del disco così come il video di Where Else is Me? (visibile a fondo pagina), esiste dal 2009 ma è chiaramente arrivata a un passo importante della propria carriera.

Si parte con Lovers Are Back, tirata ma con qualche pausa nel percorso. Nel corso del brano si avvertono influenze di varia provenienza, da decenni diversi del rock e non solo.

Drumming e basso molto in evidenza su Falling Dreams, più apertamente math rock della traccia precedente, senza rinunciare a caratteristiche di eclettismo e a divagazioni.

Down Waterfalls apre su note melodiche, ma si indurisce lungo la strada. Strada durante la quale il brano acquista meriti sinfonici e travalica le differenze di genere, con ambizioni da suite e procedimenti teatrali.

Intermezzo breve e morbido Eagles, Rain, Storm, un pezzo strumentale che lascia presto spazio a 60 Steps to the Depth, anche più breve ma costruita curiosamente su una decelerazione progressiva.

Ecco poi Vacanze romane (che sorprendentemente NON è una cover dei Matia Bazar), aperta da un arpeggio di chitarra acustica, staccata completamente dalle atmosfere del disco fin qui, con tracce di easy listening.

Where Else is Me, il brano scelto per il video, ha un passo marcato e una struttura con varie convoluzioni, nobilitate da una voce femminile molto soul, che riporta a celebri esperienze pinkfloydiane.

Con lo strumentale L.2840,0 [side A] si chiude l’ideale primo lato, lasciando spazio poi a Mary Anne Kelly, che illude con idee pop iniziali che lasciano spazio a scorribande chitarristiche molto più violente.

Pezzo più “tranquillo” Aerials, non nel senso che non sia aggressivo, ma perché ha un tracciato quasi del tutto normale, con poche anse durante il percorso e con un sound interamente rock, con qualche coretto da metal anni ’80.

Abbastanza diretto anche il sound di Amen, ma con la chitarra che si prende qualche libertà jazz che dà colori differenti al pezzo. Nella seconda parte del pezzo anche la sezione ritmica e la voce piegano il discorso verso direzioni molto più eterogenee.

Paper House inizia discorsi da canzone rock con qualche variante di fantasia e con il cantato in grande evidenza. No Therapy è veloce e inframezzata da cori, all’inizio. Più avanti si affrontano svariate svolte, in cui ci si può trovare immersi in un’atmosfera metal così come in una canzone soul, secondo il momento.

Chitarra e idee spagnoleggianti per Fear & Loathing in Jerusalem, che però a un certo punto cambia completamente faccia e aria, giocando con ritmi e suoni. Qualcosa di orientale è qualcosa di british nell’apertura di Just Fine, che lascia molto spazio alla chitarra.

Inizio melodico per L.2840,0 [side B], che chiude il disco su arie quasi da lentone anni Cinquanta, ma che poi si apre a coralità che possono ricordare i primi Queen.

L’impressione complessiva che si ricava da questo disco è la stessa che si provava ascoltando per la prima volta alcuni dischi progressive degli anni Settanta: non sapevi mai cosa aspettarti dopo la curva successiva, quale fosse l’invenzione con cui la band avrebbe risvegliato il tuo interesse.

Non che questo sia un disco progressive, né una lista di invenzioni fine a se stesse. Al contrario l’impressione che si ricava è che la band non perda mai di vista la fluidità del disco, inserendo le idee giuste al posto giusto. Il risultato è davvero notevole.

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