In riferimento ai suoi concerti, Keith Jarrett affermava di “non possedere nemmeno un seme” prima di
iniziare a suonare. Improvvisando nacque il concerto di Colonia, uno dei momenti più ricordati della storia
della musica. Senza voler scomodare i mostri sacri, viene spontaneo chiedersi se Dalila Spagnolo, nel suo
ultimo singolo, si sia ispirata alla parole di Jarrett.

Anche il fiume, prodotto in collaborazione con Luigi Russo e Gioele Nuzzo, nasce da una sessione di improvvisazione e da una serie di loop di respiri affannosi. Un gesto istintivo da cui origina un brano volutamente scarno, intimo. Una canzone da meditazione, come i vini che arrivano a fine pasto. Una canzone che necessita di essere ascoltata e assorbita lentamente. Come una goccia d’acqua in una terra arsa.

Proprio la siccità, seppur emotiva, è al centro del brano. Dalila ci conduce, sin dalla prima strofa, un luogo
asciutto e scarno in cui combattere una battaglia silenziosa contro la mediocrità e la menzogna. Il testo,
asciutto ed essenziale, si eleva a mantra, ripetuto più volte fino a rendere il brano quasi liturgico.

Le contaminazioni elettroniche contribuiscono a acuire l’effetto. “Mi sento divinamente umana dentro”,
ripetuta due volte, suona come una dichiarazione d’identità che apre alla possibilità di abitare il proprio
dolore senza rinnegarlo. Sembra di ascoltare una preghiera laica che non ha bisogno di urlare per farsi
sentire. Basta respirare.

Pagina Instagram Dalila Spagnolo

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