vivo (deluxe) è il nuovo album di Emit, una nuova versione estesa dell’album d’esordio a cui si aggiungono brani strumentali e in lingua inglese. Un compendio che amplia il mondo di vivo, un lavoro minimale ma già sfaccettato che in questa nuova versione si prende più tempo per aggiungere nuovi spunti e colori. Lo abbiamo intervistato

Rilasciare un disco esteso di un disco “d’esordio” è una scelta molto particolare. Come hai sviluppato questa idea? 

Ho sempre voluto farlo. I miei riferimenti rispetto a questo sono Ben Howard o Tom Odell, per cui la versione deluxe del primo album la vedevo come una cosa normale, nonostante la diversa portata di quei progetti. Mi sembrava un bel modo per pubblicare tracce che gravitano intorno agli stessi anni e a cui alcune persone erano affezionate dopo averle sentite in diverse occasioni dal vivo, ma che non rientravano in un progetto a sé stante e che magari non avrebbero più avuto occasione di essere lì fuori. Poi mi piace il modo in cui completa il progetto. Sento di aver veramente chiuso il cerchio e di poter andare avanti senza ripensamenti. 

Qual è il pezzo che ti ha fatto dire “Ok, devo ampliare il disco!”? 

Inizialmente soprattutto eccheffà e nanana, perché erano stati molto importanti e presenti negli anni, ma poi rimettendo mano sugli altri mi hanno convinto tutti a proprio modo. que lindo è stata una bella conferma. Era lì da tempo ma in autunno abbiamo sistemato alcune parti e il risultato mi sembra racchiuda l’energia di quando è nata, con un po’ più di esperienza. 

Partendo da un disco molto coerente per suoni e arrangiamenti quali pensi che siano i “colori” che danno un valore aggiunto a questa nuova versione? 

Sicuramente viene ampliato il mondo della chitarra percussiva con accordatura aperta (eccheffà, dita e nanana) che era praticamente soltanto accennato nel riff di viviamo, che è in quello stesso tipo di accordatura e in alcuni tocchi percussivi su altri pezzi come Benjamin. Oltre all’aggiunta delle tracce completamente chitarra e voce che nel disco originale non c’erano, ma che sono molto vicine a quello che ho portato dal vivo in questi anni. Poi ho approfondito un po’ l’uso, per quanto delicato, di beat e synth (river e que lindo) che comparivano più in secondo piano nella tracklist di vivo (conchiglia, mare). Infine la demo di mercatino mi ha permesso di completare davvero il quadro mostrando la fase delle bozze da cui è originato il tutto.

Parlaci della tua passione per la forma live: quali sono le cose che ti hanno fatto innamorare del portare le tue canzoni così intime davanti a un pubblico? Quali sono le situazioni in cui le tue canzoni vengono recepite meglio? 

Non lo so chi me l’ha fatto fare però sicuramente l’energia e il riscontro nei primi concerti mi hanno dato una forte spinta. Poi pensandoci è sempre stata la stessa cosa, da quando ho iniziato a scrivere: prima fai sentire le cose agli amici, poi il passaggio ad altre audience è naturale perché in modo molto spontaneo vuoi semplicemente fare ascoltare quello che scrivi a più persone e vedere che succede. È un’esperienza molto appagante, soprattutto quando vedi che può fare tanto bene anche agli altri. 

Storicamente il mio contesto è stato quello dei venue medio-piccoli e degli house-concert, ma nell’ultimo periodo suonando anche su palchi grandi (es. Lo Sferisterio di Macerata) ho notato che l’energia e l’emozione non risentono dei contesti più ampi, anzi è come se ne fossero potenziate e l’intimità delle gig più piccole semplicemente si espande al pubblico più numeroso. 

Chiuso in modo definitivo questo arco di canzoni cosa dobbiamo aspettarci dalle prossime? 

Il cantiere è ampio, qualcosa è anche già pronto. Alcune cose possono decisamente spiazzare, altre rimangono ferme come essenza del progetto. In poche parole: “Emit digievolve…”

Pagina Instagram Emit

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