Si chiama A Thing Of Beauty l’album d’esordio degli Inarmonics, registrato interamente in presa diretta senza per questo volere essere un lavoro a bassa fedeltà. Gli Inarmonics amano sperimentare e non limitarsi ad un unico genere musicale. I testi sono frutto del contributo di Gianluca Gabrielli, soprattutto per quelli di ispirazione più mistica, e di Massimiliano Manocchia per quelli più legati a intuizioni personali mentre la canzone che dà il titolo al disco “A Thing Of Beauty” è ispirata all’opera di John Keats. L’immagine di copertina è opera di Stefano Bonazzi.
Inarmonics traccia per traccia
La prima traccia è Disma, un percorso alternato tra chiariscuri, fasi melodiche e accelerazioni ritmiche, che mescola sensazioni di natura differente. E se il pezzo d’apertura rivela influenze progressive, per la title track A Thing of Beauty va ricercata qualche connessione in campo più black, con il groove di basso al centro del discorso.
In the park si fa più minacciosa, con un giro di chitarra inquieto e strutture a loop. Funkarabian Scat si scatena su piste che prevedono accelerazioni acide, ma anche pause sperimentali allungate. History veste un abito rock, con ritmiche molto decise.
Si arriva poi allo strumentale Farabutto, in cui la chitarra prende subito il centro della scena, con un assolo acido e prolungato, lasciando poi spazio al basso, in una sorta di jam session di stampo jazzistico. Si torna a discorsi di prog melodico (possono tornare in mente gli ELP) con Gone to fast, prima che il funk piuttosto “alcolico” di More Wine chiuda il discorso.
Disco per certi versi sorprendente, quello degli Inarmonics. Le capacità strumentali si mescolano a una creatività piuttosto “free”, per ottenere un album dal suono ricco e dalle strutture molto articolate, senza però perdersi in percorsi troppo astrusi.
