vittorio cosma

Vittorio Cosma ha alle spalle un collage di collaborazioni che non ci starebbero nella pagina: dalla PFM degli anni Ottanta a Elio e le Storie Tese, da De André a Fossati, dalla Mannoia ai Marlene Kuntz, dagli Almamegretta a Enrico Ruggeri, da Finardi a esperienze da direttore artistico alla Notte della Taranta con Stewart Copeland, ad aprire i concerti di Miles Davis in Italia, a fare il direttore d’orchestra a Sanremo, fino alla formazione dei Deproducers, con altri personaggi piuttosto significativi come Max Casacci, Gianni Maroccolo e Riccardo Sinigallia.

Cosma non si ferma mai e, tra i vari progetti, è riuscito anche a pubblicare di recente un disco da solista, La facoltà dello stupore, tredici tracce tra pianoforte, orchestra ed elettronica che in qualche modo sintetizzano gli ultimi anni di carriera del musicista.

Ma giusto per non stare troppo con le mani in mano, Cosma organizza anche Microcosmi, manifestazione multiforme che si tiene a Comerio (Varese) dal 24 al 26 giugno, fra le vie e cortili del centro del paese, con musica, laboratori, teatro, danza, cinema, letteratura, design, tradizioni enogastronomiche, storia, scienze e natura. Lo abbiamo intervistato per chiedergli conto sia del festival sia del suo disco.

Quali saranno le caratteristiche di questa edizione di Microcosmi?

Cercare di dare più forza al concetto che c’è dietro il festival: unire tutte le forze più nobili presenti sul territorio, per trascorrere tre giorni in cui si possa ascoltare musica di qualità, assistere a presentazioni di libri, vedere film e teatro. Dare più forza al modello che abbiamo scelto, più che la rincorsa al nome famoso. Certo, ci sono anche nomi famosi: Nada con A Toys Orchestra, Dario Vergassola, IOSONOUNCANE, Deproducers (sono molto contento di portarli a Comerio), Francesco Motta, Ricky Gianco, con un misto di generi musicali.

Dal punto di vista musicale mi incuriosisce molto la scelta di mettere insieme, nella stessa serata, Ricky Gianco e Iosonouncane, in una notte completata dai “tuoi” Deproducers. Come nasce questa scelta?

Come nella vita ci sono tanti aspetti, in alcuni momenti uno ascolta musica più seria e più impegnata, mentre in altri momenti vuole trovare il lato più divertente (d’altronde “play” in inglese significa suonare, ma anche giocare).

Sia nella musica sia nella vita c’è il momento più sperimentale, quello più di divertimento, quello più emotivo, c’è la canzone d’autore, c’è l’elettronica, c’è la musica per conferenze scientifiche che facciamo noi… Penso che sia quasi doveroso ascoltare e creare diverse tipologie musicali.

vittorio cosma la facoltà dello stuporeHai parlato del tuo disco “La facoltà dello stupore” come di pezzi tenuti da parte per dieci anni di cui ti volevi “liberare”. Ora che li hai pubblicati, ti senti più libero o ti manca qualcosa?

Non vorrei che venisse fuori solo questo. Il fatto di realizzare un progetto fatto completamente da solo e uscire come artista solo mi fa sentire completamente libero. Sono felice di aver fatto questo passo: non erano brani che erano lì ad aspettare. E’ stata una continua evoluzione. Il passo è stato di volerli pubblicare e mettermi in discussione andando in giro dal vivo da solo.

Sono molto felice di averlo fatto, ho capito molte cose anche da questa esperienza. Suonare da solo significa essere nudo di fronte alle persone, anche nel parlare, ma è altrettanto bello collaborare, tanto è vero che in ogni brano c’è sempre qualcun altro, insomma la condivisione è sempre fondamentale. Però ho capito di essere capace di camminare anche sulle mie gambe.

Vittorio Cosma: la parte più segreta e protetta

Benché presentate in questo modo così psicanaliticamente “allarmante”, trovo che nelle tue composizioni spesso ci sia molta serenità. E’ stato necessario un lungo lavoro di mediazione per arrivare a questo tipo di risultati?

Non trovo presentazione psicanalitica sia “allarmante”, anzi. Trovo che sia il compimento di un percorso di consapevolezza: dopo tanti progetti collettivi, era giusto che anche il bambino, il “fanciullino” del Pascoli, quello che ognuno tiene dentro di sé nella parte più segreta e protetta, venisse fuori. Penso fosse un passo verso la maturità (o la senescenza, verso cui, ahimé sono diretto…)

L’ho trovato un bel passo di liberazione, non nel senso di liberarsi dei brani, ma di consapevolezza: sono anche questo, anche se è una parte che è rimasta sempre nascosta e protetta. Non c’è voluto nessun lavoro di mediazione per rendere omogenei stilisticamente i brani; è come se avessi tirato fuori una parte sempre presente e sempre più sincera di me. Questa omogeneità è dovuta proprio a questa serenità e consapevolezza.

Dall’alto della tua esperienza, come giudichi questo momento storico della musica italiana?

Dall’alto della mia esperienza… aiuto, mi sento già vecchio… Lo vedo come un momento ambivalente: da un lato c’è un lato di colonizzazione totale, di forma, di fashion, di modelli estetici copiati e ripetuti da parte di tantissimi giovani artisti che vanno per la maggiore. Mentre invece vedo dall’altra parte una grandissima urgenza di verità: scrivo canzoni o faccio musica perché non posso fare altrimenti, indipendentemente dal risultato.

Questo penso sia fondamentale: questo fenomeno esiste ed è potentissimo, magari non lo si vede così evidente ma c’è. Non è neanche ottimismo, il mio, è realismo. C’è un fortissimo fermento e c’è un sacco di bella musica. La crisi rende difficoltosa la divulgazione di questa realtà creativa. Ma c’è anche un lato positivo in questo “francescanesimo”: si deve fare musica perché non si può fare a meno di farlo, non per diventare famosi. Sono due cose molto diverse. Questa scissione farà molto bene alla musica: certo non si diventerà miliardari, ma si farà un lavoro meraviglioso!

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