Jessica Einaudi abbandona lo pseudonimo J Moon e pubblica Black and Gold, un disco elegante e ricco di spunti non soltanto cromatici. Da quanto è levigato non si direbbe, ma è stato un disco difficile: ce lo racconta la stessa Jessica (in alto nella foto di Raul Zini).

Hai deciso di abbandonare il tuo pseudonimo e quindi in un certo senso questo è per te un nuovo inizio. Vuoi raccontare che cos’è successo nei quattro anni dalla pubblicazione di “Melt” a oggi?

Mi sono dedicata alla pittura, facendo mostre e elaborando un idea per un libro per bambini, ho collaborato con un musicista californiano e poi ho iniziato a lavorare a Black and Gold, con una grossa interruzione dopo la nascita di mio figlio Julian.

E’ stato un disco difficile da scrivere e con un percorso lungo. Quando ho finito ho capito che per la prima volta ero riuscita a raccontarmi e a essere totalmente sincera. Questo disco mi rappresenta davvero ed era quindi il momento giusto per uscire con il mio nome.

Il tuo nuovo disco parte da uno spunto cromatico, “Black and Gold”: vorrei sapere come nasce il titolo, che trovo molto adatto all’eleganza del tutto

In realtà il titolo è arrivato alla fine, quando mettendo insieme i brani, riascoltando e cercando di individuare un filo conduttore, ho capito quanto la sua essenza fossero proprio i contrasti, che si intersecano continuamente in una danza che non ha mai fine. Il buio e la luce non esistono l’uno senza l’altro.

Mi sembra che tu abbia cercato sonorità piuttosto lineari ma soprattutto non troppo inclini a influenze “trendy” (benché il vintage sia molto di moda…). Su quali presupposti ti sei mossa nella composizione dei brani?

Sono partita dagli strumenti che avevo a disposizione – il casiotone e l’hammond e ovviamente la voce – per sviluppare le melodie. Da li insieme al mio produttore Federico Albanese abbiamo provato diverse soluzioni di produzione, fino a decidere di tornare a dove ero partita, arricchendo l’atmosfera senza stravolgere il sound originale. Poi Francesco Donadello ha fatto un bellissimo lavoro di mix interamente analogico e il tutto è stato passato su nastro per scaldare ulteriormente il suono.

Mi ha incuriosito molto “Among the Shadows”: vorrei sapere come nasce

Questo mi fa piacere perché è un brano che temevo restasse più “in ombra”. E’ un pezzo molto cupo chiaramente, scritto in un periodo in cui mi sentivo sparire nella città buia e piena di esseri umani dove vivo. L’ho pensata inizialmente con intro al disco ma poi ho deciso di incastrarla nel mezzo, come un piccolo frammento di una storia che non si sa dove andrà.

Ormai hai qualche anno di carriera alle spalle, da sola o in gruppo. Quanto “pesa” ancora il tuo cognome sulle spalle?

Per gli altri pesa, dicono sempre “con il tuo cognome…” oppure “hai un cognome ingombrante”. Io so di essere semplicemente fortunata a essere figlia e nipote di chi sono perché sono cresciuta in un contesto culturale unico e molto stimolante. Il fatto che per gli altri io sia “figlia di” è un loro problema, assolutamente non mio.

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