“Kali Yuga”, Eva Milan: la recensione #TraKs

Terzo lavoro per Eva Milan: Kali Yuga arriva cinque anni dopo l’ep Totem del 2009. Il disco è autoprodotto e gestito in toto dalla cantautrice, fatte salve alcune collaborazioni come quella del chitarrista storico Marco Mattei, del bassista e compagno Alex Bolatti, nonché di qualche altro personaggio affine durante il corso dell’album.

Non è un messaggio particolarmente speranzoso quello che porta in dote Prigioni, il brano di apertura del disco: oscuro e magmatico, in una sorta di danza rituale, che qui e là può far pensare ai CSI. Con un grido iniziale “hell, hell, hell” ha inizio Hell Care Trade, altro passaggio in strade poco illuminate, che vede la Milan accanto a Francesco Petetta come voce recitante.

Non può non venire alla mente PJ Harvey con un pezzo come Way Out, sia per il modo di cantare sia per le sonorità scelte. Mondo bipolare vede come ospite Marco Rovelli, che è accolto all’interno del brano da chitarre particolarmente graffianti e da visioni politiche estreme e fortemente inquietanti. Strane Danze fa risuonare ulteriori incubi a ritmi moderati ma con una certa propensione per il noise. Più tranquilla, oltre i limiti del malinconico, Oltre i confini: la voce di Eva si fa quasi incerta sulle prime, ma poi intervengono chitarre arrabbiate a spazzare via le insicurezze.

Information Guerrilla emerge dal magma per portare lo scontro a livelli superiori e più gridati. Più bassi i volumi di Salvi, almeno sulle prime, anche se con il procedere della canzone si assiste a una sorta di climax noise, che non arriva a livelli assoluti ma sicuramente cambia l’orizzonte.

Si chiude in inglese con Sanyasin, con il basso di Samuele Baglioni degli Scritti Corsari: la canzone lascia di nuovo spazio a un lato meno aggressivo ma non meno inquieto della produzione della Milan, che si permette qui anche qualche escursione in territori cantautoriali benché, come spesso succede nel disco, gli esiti del brano siano comunque propensi all’attacco.

La testimonianza di Eva Milan è di interesse indubbio, sia per il contenuto sia per le forme che sa assumere. La scelta di un suono molto aggressivo è coerente per tutto il disco, anche se emergono spunti notevoli anche quando i toni si abbassano un po’.

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