Un disco come un seme: parte da questa analogia Furente, il nuovo disco dei Sula Ventrebianco, gruppo partenopeo arrivato al terzo lavoro con una buona dose di maturità.
La prima tiratura del disco è una special edition di appena 500 copie numerate, ognuna delle quali conterrà un seme di Joshua, insolita specie di Yucca simile a un albero, che cresce di appena 80 cm in 10 anni e arriva a vivere oltre il millennio.
Un’operazione quindi tutta rivolta a un futuro che, per gran parte, non vedremo. Si vede subito invece l’aggressività della band, a partire dalla bruciante Notre Dame, che accende subito lo scontro con ritmi qui e là quasi da thrash metal.
Mani di piuma cambia situazione, introduce sprazzi di elettronica e modera i toni, rivelandosi sostanzialmente una canzone d’autore travestita da rock.
Di striscio riguadagna ritmo e lascia ancora spazio a chitarra e batteria, ma non quanto Cumulonembo, che ha un’introduzione con un riff che non sfigurerebbe in un disco metal a tutto tondo.
Lingua gonfia parte con un’introduzione quasi barocca e con vocalizzi che lasciano spazio a un pezzo variamente articolato, con tastiere vintage, chitarre e altri elementi. Il brano è tra i più fantasiosi del disco.
Subito prima/delle onde è brano doppio che invece si dedica immediatamente alla chitarra che domina l’intro, accogliendo gli altri strumenti in un rock ricco di potenza ma anche di sfumature.
Segue Glory Hole, ancora un rock veloce e aggressivo ai limiti dell’heavy. Molto più malinconico l’atteggiamento di Grano, brano dall’andamento piuttosto ondivago e ricco di sorprese disseminate lungo il percorso.
Allo specchio torna ad aggredire, soprattutto tramite le chitarre ma anche grazie al tono abrasivo del cantato. Più ordinaria la parabola di Cornelio, tranquilla ballad con violino che rispetto ai precedenti spiazza un po’.
E anche Così finta chiude il disco con animo non troppo “furente”, anche se non del tutto placato: la ballad è più carica di tristezza che di rabbia, condita con buoni ritmi e sonorità articolate.
La band non ha paura dei riff, della canzone comunemente intesa, ma mostra di poterla anche superare se è il caso. Il disco si dipana su suoni spesso potenti ma mai senza scopo.
Il disco è dedicato a un amico della band scomparso, Diego Viscardi. Così acquista anche un altro senso l’aspirazione alla longevità espressa dal seme di Joshua allegato al disco: fare qualcosa che sopravviva, nonostante tutto.