La recensione: “Thrill Addict”, Peter Kernel #TraKs

Una di quelle storie in cui lei detesta lui, lui detesta lei, e alla fine si innamorano e fanno una band insieme: questo, in estrema sintesi, il background dei Peter Kernel.

La canadese Barbara Lehnhoff e lo svizzero Aris Bassetti da anni percorrono il mondo dell’indie come fossero una sorte di White Stripes in versione oscura: il loro nuovo disco si chiama Thrill Addict, e merita attenzione.

C’è dell’oscurità diffusa e piuttosto rumorosa già alla base di Ecstasy, traccia non particolarmente estatica ma interessante: l’interesse scaturisce dall’attività del basso, dall’interazione delle voci, dalla progressione lenta, molto indie rock, del passo della canzone.

Molto più diretto il percorso di High Fever, che riporta a periodi punk/riot con qualche memoria di Sonic Youth e di ragazze arrabbiate.

Your Party Sucks rientra subito nei ranghi: l’atmosfera di appesantisce e si incupisce non poco (e in effetti il pezzo sembra il risultato di una festa andata a male).

Leaving for the moon porta con sé altre memorie del rock anni Novanta, versante Jane’s Addiction e limitrofi, ma con sviluppi strumentistici più approfonditi.

It’s Gonna be Great, appoggiata su un arpeggio insistito di chitarra, torna a proporre singolari mix di voci maschili e femminili, questa volta sollevando ricordi delle Hole.

Ninna nanna inquietante e vagamente satanica, You’re Flawless mette in maggiore evidenza le percussioni e si immerge dalla testa ai piedi nella dark wave.

Supernatural Powers invece si caratterizza per una marcia potente e a testa alta, con qualche occhiata allo spazio profondo dello shoegaze.

Si cambia di nuovo scenario con Keep it slow, robusta e sottile insieme, mentre They Stole the Sun si incentra su un insistente movimento percussivo, che esplode, in modo inevitabile e necessario, in un rito tribale.

L’atmosfera del rito aleggia anche su Majestic Faya, più tranquilla anche se non del tutto pacifica, soprattutto nella seconda parte, quando il drumming alza il volume.

I Kinda Like it comincia con una tempesta, che viene gestita durante tutto l’andamento del brano, tra esplosioni, dichiarazioni belliche e qualche raro rallentamento.  Tears don’t fall in space si occupa di chiudere il disco riportando l’umore al cupo.

Un disco “serio”, internazionale per vocazione e aspirazioni (una canadese e uno svizzero che registrano in Italia, come sarebbe potuto essere altrimenti?)

Thrill Addict ha  un sound ben strutturato e convincente, in linea con molte produzioni indipendenti di oggi. Forse c’è un pizzico di nostalgia sonora di troppo, ma stiamo veramente cercando il pelo nell’uovo.

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