Il cantautore emiliano Daniele Ronda ha pubblicato poco tempo fa La Rivoluzione: undici canzoni d’autore che ci ha spiegato durante questa intervista.
Come nasce il disco e che cosa hai imparato rispetto al tuo esordio?
La Rivoluzione ha tanto in comune con i due album precedenti, nella matrice folk del suono, nel raccontare tanto della mia terra, del legame con essa, e nel raccontarmi, ma è proprio perché mi racconta così da vicino che questo disco evolve insieme a me, porta dentro le influenze, i sapori, le storie e le sensazioni che ho incontrato in questi anni.
È un insieme di tante cose, i suoni della tradizione si fondono con il rock, con l’elettronica e con quelli del folk internazionale, ho voluto sperimentare, ho cercato di non farmi spaventare da ciò che all’apparenza pareva non potersi mescolare, ma che una volta provato ho scoperto essere in una simbiosi perfetta, meravigliosa, nuova.
Il dialetto è o è stato una parte molto importante della tua produzione, ma in questo disco hai scelto di limitarne l’utilizzo. Perché? E’ una scelta definitiva?
Non è definitiva ma soprattutto non è una scelta. Lavorando su un album non mi pongo schemi, non eseguo calcoli basati su marketing o cose simili, ma dico ciò che sento di dover esprimere in quel momento, nel linguaggio, nel modo e con i suoni più efficaci per trasportare quel tipo di messaggio.
Per quello non è una scelta, è qualcosa che deriva dall’istinto, per esempio in questo album c’è un pezzo che racconta la ricetta del piatto più tipico del nostro territorio, i pisarei e faso’, forse per alcuni sarebbe stato ovvio raccontare in dialetto una storia così densa di tradizione, di cultura popolare, invece in questo caso è quasi come se avessi sentito di doverla far arrivare in maniera immediata, diretta anche a chi non avrebbe potuto comprendere subito il significato del dialetto, quasi a voler diffondere ovunque un pezzo della storia di casa mia.
Adoro il dialetto, lo reputo una forma di comunicazione ancor prima che una lingua, credo che si porti dentro una fetta davvero importante di ciò che siamo.
Mi sembra che tra le tue caratteristiche ci sia l’assenza di paura di parlare di cose “vecchie”, tipo la fisarmonica… Come nasce “La regina”?
Credo che per costruirci un futuro abbiamo bisogno di fondamenta, di una base e questa possiamo trovarla nella tradizione e nella storia.
Ed è nella tradizione che ho scovato un suono che mi ha ammaliato, che ho scoperto essere stato lasciato da molti in disparte e relegato soltanto ad alcuni generi, era la fisarmonica.
Per me quello strumento ha qualcosa di magico, e di umano, forse per quel grande polmone che ha , il mantice, che la fa respirare che fa si che il suo suono sia così tanto simile a un canto, e poi è così versatile e così ricca di colori, questo le permette di sposarsi con sonorità tanto diverse tra loro anche a volte innovandole.
So che hai suonato durante l’intervallo del derby Sassuolo-Parma. Che tipo di esperienza è stata?
Suonare in uno stadio è sempre una sensazione forte, i tifosi hanno accolto quei momenti come un regalo, un modo in più per portare la musica ovunque ci sia chi vuole sentirla.
Il tuo progetto musicale corre parallelo a quello del Folklub: quanto sei coinvolto nel progetto e quanto ha contribuito al tuo disco?
Il Folklub ancor prima di essere una band è come un laboratorio aperto, ci entrano musicisti con la passione comune per un suono che parte dalla tradizione ma che si espande verso il domani, e poi la voglia di girare e macinare chilometri pur di incontrare persone, e far ascoltare loro ciò che siamo.
Suonare è per noi fondamentale, una necessità, e forse per quello in alcuni periodi dell’anno diventiamo un po’ zingari, ci mettiamo in macchina e ci muoviamo terra dopo terra, per arrivare dalla e alla gente, toccarla, è la magia e la forza del live.
Lavori ancora come autore per altri oppure hai deciso di concentrare tutto su te stesso?
Non lo escludo, anzi, lavorare per altri artisti può essere molto stimolante, ti permette di utilizzare generi e stili che magari per te non avresti preso in considerazione, questo mi è servito tanto, ma richiede tanto impegno ed energia, ed ora mi sto dedicando completamente al mio progetto.