Si chiamano My Speaking Shoes e hanno di recente pubblicato Siamo mai stati, secondo disco della loro carriera all’insegna del post hardcore (qui la recensione). Ecco la nostra intervista.
Potete raccontare la storia della band fin qui?
No, siamo pigri.
“Siamo mai stati” segna la scelta dell’italiano per i testi: motivazioni di questo cambiamento?
È una scelta meditata da tempo, volevamo essere più diretti dal vivo e più coinvolgenti. Visto che della musica non si capisce un cazzo, ci siam detti: almeno che si capiscano le parole. Poi non è stato facile incastrarle, in più spesso non si capisce un cazzo lo stesso. Ma ci piace così. Perlopiù.
Rispetto a “Holy stuff” mi sembra che talvolta abbiate fatto scelte sonore un po’ più “estreme”: si tratta di una scelta progettuale oppure è il disco che si è manifestato in questo senso mentre lo realizzavate?
Passano gli anni e le foglie cadono, come i capelli. I nostri di riferimenti musicali mutano: il giorno prima non sopporti il palm-mute, il giorno dopo c’hai i meshuggah in macchina. Comunque niente di pianificato, è venuto giù così in salaprove!
Mi incuriosisce molto “Figu”: potete spiegare la genesi della canzone e del testo?
È un testo autobiografico per la Cami e vuole essere uno sfogo sarcastico sul vivere a Milano per lavoro, città mascherata da paese fatato in cui le figurine fioriscono.