E’ appena uscito il disco d’esordio, omonimo, del Movimento Artistico Pesante, un compatto ma non monolitico disco strumentale che introduce le sonorità del trio in maniera decisamente completa. Ecco la nostra chiacchierata con il gruppo.
Potete raccontarmi la storia della vostra band fin qui?
Il progetto Movimento Artistico Pesante nasce nell’estate 2009. L’approccio è stato fin dall’inizio strumentale (anche se molto diverso da oggi). Ci trovavamo in sala prove e ci lanciavamo in lunghe jam delle quali alla fine della serata non rimaneva nulla!
Poi con il tempo l’affiatamento è cresciuto, e siamo gradualmente riusciti a integrare i vari elementi, le nostre diverse personalità musicali e a estrapolare dalle improvvisazioni qualche parte o qualche spunto su cui lavorare.
Nelle prime fasi i nostri pezzi erano molto evanescenti dal punto di vista della struttura, c’era una forte componente sperimentale e l’originalità degli accostamenti era di per sé per noi più importante della struttura armonica.
Oggi pensiamo e scriviamo i nostri pezzi in modo molto più “classico”, come se fossero vere e proprie canzoni, ma l’improvvisazione rimane comunque fondamentale nella fase compositiva.
Una percentuale significativa dei dischi italiani indipendenti in uscita di questi tempi prescindono dalla voce tradizionalmente intesa, esattamente come fate voi (penso a Junkfood, VeiveCura, ovviamente tutta la scena elettronica): ci vedete una tendenza o una casualità? Quali sono le ragioni della vostra scelta?
Qui si rivela la mia ignoranza, non conosco i gruppi da te menzionati! Ma posso capire quello che dici pensando a gruppi come Zu, Calibro 35, Zeus e altri. Io ho sempre ascoltato musica strumentale o che fa un uso “non tradizionale” della voce, per cui non riscontro una tendenza in questo senso.
Forse si può avere quest’impressione perché in Italia è un approccio che si è sviluppato più di recente, mentre nel resto del mondo (in particolare U.S.A.) era presente già da molto tempo. Per quanto riguarda il nostro progetto è stata una scelta programmata sin dall’inizio che si è confermata nel tempo; ogni tentativo di accostare una linea vocale alla nostra musica non ci ha mai soddisfatto pienamente. Per il futuro non ci sentiamo di escludere niente.
Mi ha incuriosito “Baikonour”, che a quanto ne so è da dove partono alcuni dei lanci spaziali russi. Ci siete stati? Come nasce il pezzo?
Quella di “Baikonur” è una storia incredibilmente interessante! La storia è la seguente: il pezzo si chiama “Baikonur” come il cosmodromo di Baikonur perché ci piaceva il nome.
Tra le influenze che ammettete e citate ci sono Jesus Lizard, Supreme Dicks, Mr.Bungle, Don Caballero, Arvo Part. Mi sorprende l’assenza dei Mogwai, con cui secondo me avete qualcosa in comune.
Con questa domanda la tensione sale alle stelle! A parte gli scherzi, in realtà due componenti su tre non conoscono i Mogwai, o meglio, li conoscono come nome, ma non li hanno mai ascoltati. Sul piano stilistico penso che il M.A.P sia molto lontano dai Mogwai.
Nel nostro disco ci sono delle progressioni, dei cambi, dei tempi che offenderebbero i Mogwai come un numero irrazionale offenderebbe Pitagora. Bella questa, no? Comunque credo sia giusto e importante che ognuno trovi nella musica influenze, somiglianze, echi ecc..
Direi che c’è una certa ironia qui e là nella scelta dei titoli: per esempio, come nasce “Pezzo dei Queen”, parlando sia del titolo sia del brano?
“Pezzo dei Queen” in effetti è un titolo che spiazza molte persone. Tutti pensano che sia un riferimento ai Queen giustamente, ed è qui che subentra l’assoluta malvagità del M.A.P: è solo in parte un riferimento ai Queen. È una frase presa dal film “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”!
Hai presente quando gli amici di Alex sono in sala prove? Ecco, ad un certo punto uno di loro accenna “We will rock you” alla batteria, un altro (il cantante) si rivolge a lui con questa frase epica: “Un pezzo dei Queen? Ma tu sei na puttana!” (con marcato accento bolognese).