Il fuorisede MI AMI cambia casa ma resta uguale nelle intenzioni. Tra nuovi incontri, nuove amicizie, poghi, debutti live e canti a squarciagola, è terminata la diciannovesima esibizione del festival milanese. Ecco il racconto del weekend

Maggio è il mese della fine della scuola, della spensieratezza che pervade le classi. Al contempo, è il mese dell’inizio della sessione estiva per gli universitari che spensierati – ve lo assicuro – non riescono a esserlo. Maggio è il mese della quasi estate e delle feste scudetto. Maggio è il mese della musica. I tormentoni iniziano a farsi largo tra le radio, i bar, le discoteche e in un attimo ci ritroviamo a cantarli a squarciagola. Maggio, però, è soprattutto il mese del Mi Ami, che quest’anno spegne 19 candeline. E come ogni 19enne che si rispetti, è diventato fuorisede, allontanandosi dalla casa genitoriale – il Magnolia – per celebrare due giorni di musica all’interno dell’area dell’Idroscalo.

Nei giorni precedenti al festival mi frullava per la testa un’idea ricorrente: “Ma non è che la nuova location snatura lo spirito del festival?” L’idea di un’edizione senza fango – che ha sempre fatto parte dell’esperienza – mi sembrava inconcepibile, come se proprio quel fango rappresentasse lo spirito stesso del festival.
E così, mentre queste domande riecheggiavano nella mia testa, all’apertura porte di venerdi 23 maggio – quando a Milano ci sono 40 gradi percepiti – entro nel nuovo Mi Ami.

Il primo obiettivo della giornata è ascoltare il live dei Laguna Bollente. Sotto palco con me – oltre a un po’ di fango – Simone Panetti con Auroro Borealo e Visconti, i Post Nebbia e i Patagarri. Mi rendo subito conto che la vera forza del festival è quella e non il fango: artisti e fan uniti al solo servizio della musica bella. Il live – bellissimo – procede con qualche intoppo, tipo una chitarra che non si riesce a accordare per l’ansia.

Fantasbocco, questo il nome dell’ultimo album della band veneta, è un piccolo gioiello. Ho l’opportunità di scambiare con Dunia e Elia, questi i nomi veri dei Laguna, qualche parola alla fine del concerto. Mi guardano sbigottiti quando chiedo se si aspettassero l’endorsement pubblico di Niccolò Contessa nei loro confronti. “Assolutamente no, ce lo hanno detto degli amici” la loro risposta. Viva la sincerità.

Finito il loro concerto, come un ragazzino che gioca a nascondino in un parco nuovo, inizio a ispezionare la nuova area dell’Idroscalo. E’ mastodontica: quattro palchi, un boulevard, una ruota panoramica. Questo sì che è stato un upgrade.

A non cambiare è invece il pubblico del Mi Ami, composto per lo più da ragazzi tra i venti e i trenta anni. E’ un pubblico molto riconoscibile. E’ il pubblico degli occhiali veloci, delle Dr. Martens ai piedi e dei cappelli da pescatore. Un pubblico presoabbene. Un pubblico che ti alza se cadi nel pogo.

La giornata scorre velocissima – come sempre, purtroppo. I concerti più sorprendenti sono quelli di Umarell in cui tra poghi e stage diving, Martin, vero nome di Umarell, ha messo a ferro e fuoco l’Idroscalo – e quello di Centomilacarie – attesissimo dal pubblico. Osservo la gioia delle persone alla fine di questi due concerti: sia Martin che Simone, vero nome di Centomilacarie, sono ragazzi genuini, puri che ti sbattono in faccia le loro ansie, paure, difficoltà. Evviva la sincerità. E’ molto suggestivo anche il debutto live di prima stanza a destra. Concerto apprezzato anche da Emma Nolde che, un po’ in disparte, come a lei piace stare, sosteneva il suo collega dalla platea.

Mi Ami: lo spirito è intatto

Il venerdì placa le mia paure: Mi Ami è rimasto intatto nello spirito. La location sarà anche cambiata ma le intenzioni no. Gli artisti, in giro per il festival, sono disponibilissimi a scambiare due chiacchere con i loro fan. Non c’è distinzione tra chi canta sul palco e chi sotto. Il Mi Ami è alimentato dall’energia che nasce da ogni sguardo, ogni sorriso, ogni incontro. E fa niente se il fango non c’è, anzi forse meglio a questo punto.

Il sabato prosegue sulla stessa scia del venerdì. Molti sono gli artisti sotto il palco a supportare i loro colleghi. Da Mace a Laila Al Habash, che ha presentato Fumantina, il suo nuovo singolo, da Vasco Brondi a Drast. Sul palco si alternano le vibe mediterranee dei Fitness Forever, che ospitano sul palco Calcutta, l’afrobeat del Mago del Gelato, con tanto di mamme sul palco, per arrivare allo spoken word degli Offlaga Disco Pax, con il fantastico tributo a Enrico Fontanelli.

Il concerto di Max Collini & Co. è davvero un incontro generazionale. Tra il pubblico c’è di tutto: ragazzi – come me – che gli Offlaga li vedono per la prima volta; 40enni che con quei versi ci sono cresciuti e cantano – o meglio parlano –  a squarciagola tutte le canzoni. “Ho i vinili a casa”, mi confessa un papà a fianco a me, come se ce ne fosse bisogno.

Il grande closing è affidato alla delicatissima purezza di Emma Nolde. Mi fa specie come una ragazza alta quasi 1 metro e 90 riesca con apparente estrema semplicità ad essere così pura nelle sue canzoni. Sul palco, Emma è magnetica: altissima con i capelli lunghissimi, si muove e agita tra lo sgraziato e il sinuoso mentre suona le sue fidate chitarre e sventola la bandiera LGBTQ.

E’ impossibile toglierle gli occhi di dosso anche quando gli echi elettronici di okgiorgio arrivano dal mainstage. Sconosciuti, Tutto scorre, Piano piano e Sirene mandano il pubblico in totale estasi. Ascoltare Emma Nolde è come confidarsi con il proprio diario segreto e leggerlo davanti a tutti. “Io sono purezza e sono fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni” recitava Uma Thurman in una pubblicità della Giulietta. Per Emma vale lo stesso discorso. E’ la sincerità nella forma più pure che si possa trovare.

Mi Ami resta sempre lo stesso. Un festival legato a doppio filo  alla sincerità e la genuinità delle persone, delle parole, delle canzoni, dell’Idroscalo. E’ il festival degli incontri, il festival delle scoperte, il festival di quello che fu il fango. Non cambiare mai. Al 2026, ai tuoi 20 anni.

Pagina Instagram Mi Ami

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