Testo e foto di Fabio Alcini

Una bellissima signora, ricca di vitalità, sensibilità e intelligenza, si aggira sul palco del PeM! Parole e Musica in Monferrato, che chiude la sua edizione 2018 con una serata dedicata a una delle cantautrici dalla carriera più ricca di fascino della storia della musica italiana: a San Salvatore Monferrato, nel parco Torre, è il giorno di Nada.

Nella classica conversazione con Enrico Deregibus, giornalista monferrino e direttore artistico della manifestazione, la cantautrice toscana si racconta con trasporto passando attraverso le tappe più significative di una vita musicale che ha visto gioie e affermazioni, affetto, successi, ma anche un dolore molto potente, causato proprio dalla scelta di iniziare così giovane (15 anni sono davvero pochi) la carriera.

Si parte dai curiosi nome e cognome: se Malanima è trattato per lo più con ironia (“Non ho usato da subito il mio cognome perché a Roma mi avrebbero detto: «Malanima de li mejo tua»”), una spiegazione più estensiva merita il nome Nada, che se in spagnolo significa “niente”, in sanscrito vuol dire “suono”, ed entrambi i significati avranno un peso per la vita della cantante.

Nada inizia a leggere dal suo secondo libro, Il mio cuore umano, un brano che parla di zingari e di profezie, incontrate dai genitori prima della sua nascita. La zingara che predisse la nascita della bambina disse di chiamarsi “Nada”, forse alludendo al fatto che non voleva dire il proprio nome. Ma quella magia e quella parola affascinarono suo padre e sua madre.

Si passa così a parlare dei genitori, il padre che conosceva a memoria le opere di Puccini
E la madre che vedeva in lei qualcosa che nessun altro vedeva. Voleva che questo “qualcosa” uscisse, mentre Nada non aveva davvero voglia di cantare. E confessa: “Gliel’ho fatta pagare, ho avuto un rapporto difficile con lei, con me e con il mondo”.

Un rapporto che, per la madre, approda a un esaurimento nervoso, al manicomio, con le ribellioni della figlia che peggioravano la situazione. Storie di depressioni terribili che debordano fino alle canzoni anche in età avanzata: un rapporto madre-figlia così totale e totalizzante da lasciare segni indelebili.

Ma c’è anche il tempo della riconoscenza: Nada racconta come negli ultimi mesi di vita della madre fu capace di ringraziarla. “Grazie, sono veramente felice di fare questo mestiere. Avevi ragione tu”. La risposta però non è di quelle che ti aspetti: “Ma io non sono tanto convinta di aver fatto bene…

Nada: una canzone come un orgasmo

Si ride e ci si commuove con il racconto della cantautrice che parla di come sentiva e sente il dolore degli altri. E della sua ossessione per la morte fin da bambina, giunta a paradossi fino a fingere la propria morte stendendosi a terra per provare l’effetto che fa.

Nada poi accende il sigaro e parla del primo e fatale Sanremo. Ed è il racconto di un dolore enorme proprio perché vissuto da bambina che lascia casa sua per entrare in un mondo sconosciuto e spaventoso.

E senza salti, la signora di Gabbro si alza in piedi, prende il microfono e, accompagnata dal suo chitarrista si esibisce proprio su Ma che freddo fa, canzone che compirà a breve cinquant’anni ma che risuona fresca e potente sotto la Torre illuminata di San Salvatore.

Segue un breve incontro con Bobby Posner dei Rokes, voce e basso della band che eseguì insieme a lei proprio il primo successo sul palco sanremese nel 1969 e poi si passa a parlare dell’attività da autrice, iniziata prestissimo, già l’anno successivo con La fotografia.

L’esigenza di scrivere nasce sia da fatti pratici (“Non mi piacevano le parole che mi facevano cantare”) sia da esigenze più profonde: “Ho sofferto di mancanza d’amore“.

Si parla di Piero Ciampi, grande e troppo dimenticato cantautore dalla vita breve e tormentosa, che secondo Nada che lo conobbe a fondo era un essere umano che aveva una sensibilità pazzesca, intelligenza e leggerezza, come un bambino.

Sconvolta dalla sua morte rimase ferma due anni. “Perché dopo aver cantato Ciampi che vuoi cantare?” Poi si mise a scrivere canzoni che “duravano due ore”, come fosse sempre un continuo divenire.

Si passa a chiacchierare dell’approccio alla scrittura. Ogni volta che inizia un disco nuovo, confessa di sentire il processo come inutile: “Ormai ho detto tutto!

Poi si parte con l’affrontare le paure inconscie, con un’analisi molto tormentata. “A un certo punto succede qualcosa. E’ un orgasmo, una cosa bellissima, inizi a vedere immagini nel vuoto, le parole una dietro l’altra finché… stop! Finito!”

Nada: prima in Groenlandia!

Nada parla di come scrivere l’abbia resa una persona sono migliore, più compassionevole è aperta. Al Sanremo del 1999 porta Guardami negli occhi, un brano decisamente non sanremese, tanto che qualcuno quando la ascolta le chiede quante canne si sia fatta per scriverla. Finché ha incontrato qualcuno che le ha detto di provare.

Il brano, inserito nel disco Dove sei sei, è riprodotto da Nada subito sul palco: ne esce una versione ruvida e appassionata, sostanzialmente sciamanica e quasi “alla Patti Smith” (anche se poi vai a sapere chi ha influenzato chi, in un caso come questo).

Si parla del Nada Trio ed è imperativo il ricordo di Fausto Mesolella, scomparso l’anno scorso. La cantautrice confessa l’importanza del musicista ex Avion Travel non soltanto per il trio in se stessoo. “Abbiamo condiviso la vita, i viaggi, i problemi famigliari. Sul palco lui c’era sempre: ci sono momenti particolari, ci può essere tensione e cose che accadono non preventivate. Magari mi sentivo persa, ma mi voltavo e Fausto c’era e mi sosteneva. Dopo averlo perso ho capito quanto sia stato generoso”.

Si parla poi dell’incontro con l’indie rock di casa nostra, e Nada spiega come siano sempre stati gli artisti indipendenti a cercare lei. Il primo fu Cesare Basile, per Senza sonno (“Canzone su una donna che uccide il marito. Finalmente!”)

Gli Zen Circus invece ascoltarono Luna in piena in un locale senza riconoscerla, si chisero chi fosse e, una volta scoperto l’arcano, decisero che avrebbero dovuto convincerla a collaborare all’album successivo.

La soddisfazione è più vera – spiega Nada – perché non si tratta di un calcolo commerciale. C’è soltanto il richiamo di quello che si ascolta. E l’età non conta: “Puoi essere contemporaneo a 90 anni e vecchio a 20 anni”.

Per esempio puoi scoprirti contemporaneo anche dodici anni dopo, com’è capitato con la sua Senza un perché, canzone del 2004 che Sorrentino ha incluso in The young pope, facendone un successo “in ritardo” (“Prima in Groenlandia!” ci tiene a sottolineare Nada).

“Sono felicissima per questa piccola canzone che ho sempre amato. Era così semplice che nessuno riusciva a trovare il modo per realizzarla”. Poi John Parish suonò tutto e ne fece una versione convincente.

Nada esprime la soddisfazione per il successo di una “Canzone proprio mia, di una mia filosofia nel cercare la ragione delle cose”. Le cose buone prima o poi arrivano. Ed è una cosa buona anche l’esecuzione del brano, che segue le parole: qui la versione è quasi leggera, ma per una canzone soltanto apparentemente lieve.

Si parla di molti altri argomenti, che vanno dalla differenza di sofferenza tra uomini e donne, dall’assenza di cantautrici fino a vent’anni fa, alla vocalità “spigolosa” che la accompagna fin da bambina, quando era gracilina e malaticcia ma aveva una voce in perfetto contrasto, tanto da essere riconosciuta dal prete che, quando cantava in chiesa, le diceva che aveva una “voce strana”.

E così scorrono il Premio ricevuto da Amnesty (per Ballata triste, questa volta su un femminicidio, che canta dividendola fra rumorismi quasi punk e un sottofondo da canzone popolare old style), ricordo di Dario Fo, tra esperienze positive e qualche contrasto artistico, le esperienze teatrali (“Mi piace fare teatro ma non me lo fanno fare!”), fino ad arrivare al prossimo disco.

Che racconta dicendo che è il disco della sua vita, che non è un disco divertente, e che tratta di argomenti molto importanti. E’ stata un mese a Bristol ed è soddisfattissima di questo lavoro che uscirà nei prossimi mesi.

La serata si chiude sulle note di Libera l’anima mia, che esegue a cappella (“Perché quando è nata ho immaginato di eseguirla così”) provocando più di un brivido ai numerosi spettatori accorsi per celebrare un talento straordinario.

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