I Nevecieca, band emergente della scena indipendente italiana, hanno recentemente pubblicato il loro album Vacuità, un lavoro che alterna introspezione e delicatezza, malinconia e ironia. La loro musica, caratterizzata da arrangiamenti sofisticati e testi profondi, esplora le emozioni personali dei membri della band, riuscendo a trasmettere un senso di autenticità raro nella scena contemporanea.
In questa intervista, i Nevecieca raccontano il processo creativo dietro Vacuità, la gestione delle proprie vulnerabilità attraverso la musica e il delicato equilibrio tra sperimentazione sonora e accessibilità.
Nel vostro album Vacuità emerge un senso di vulnerabilità e introspezione molto forte. Quanto della vostra esperienza personale si riflette nei testi e nelle melodie?
Marco: I testi sono opera di Edward, mentre la parte strumentale è frutto della collaborazione fra tutti e tre. Direi che a livello strumentale c’è molto di ciascuno di noi all’interno di Vacuità, anche se non eravamo troppo coscienti di questo mentre realizzavamo il disco. Siamo tre persone molto diverse fra loro, ma forse proprio per questo si è creato un bell’equilibrio fra noi.
La vostra musica sembra oscillare tra malinconia e ironia, creando un equilibrio delicato. Come riuscite a tradurre emozioni così complesse in suoni e parole?
William: Non lo facciamo in maniera troppo conscia. Probabilmente sono emozioni che ci accomunano, anche se non ce lo siamo mai detti apertamente, e che veicoliamo/esorcizziamo scrivendo e, soprattutto, suonando. Ogni tanto ci capita di non provare per qualche settimana a causa di dannatissimi impegni lavorativi e la prima sessione di prove dopo queste pause ha sempre un che di terapeutico.
Fare musica indipendente è un atto di coraggio, soprattutto quando ci si espone con contenuti così sinceri. Ci sono stati momenti in cui avete avuto paura di mostrare certi lati di voi stessi attraverso le canzoni?
Marco: Grazie per il complimento: dirlo in un’intervista fa molto strano, ma ho sempre avuto una gran paura di espormi… anzi, direi che c’è l’ho tuttora, soprattutto quando devo suonare dal vivo. Suonare però in questo senso è stata una bella palestra per me, anche aldilà della musica.
Il vostro suono riesce a unire leggerezza e profondità, sperimentazione e accessibilità. Come vi rapportate alle emozioni degli ascoltatori quando scrivete e arrangiate i brani?
Edward: Vacuità è un album nato principalmente in studio, anzi, direi proprio in saletta, dove notoriamente il pubblico scarseggia (ad esclusione di Lorenzo, il proprietario della prima saletta, che ci osservava silenzioso dalla porticina della sala prove). Quindi, per rispondere alla domanda, direi che non ci rapportiamo agli ascoltatori ma pensiamo alle nostre emozioni. Forse pecchiamo un po’ di egocentrismo… o magari in un certo senso ci sentiamo un po’ alienati/soli.
Se doveste descrivere Vacuità come un viaggio emotivo, quali tappe sentimentali pensate che l’ascoltatore attraversi ascoltando l’album dall’inizio alla fine?
Edward: Più che un viaggio fatto da tappe, mi immagino un continuo avanti e indietro fra due stati emotivi: la rabbia e un più malinconico bisogno di evasione.

