Recensione: Masalas, “Croce (della Nazione)”

croce_bigNati nel 2005, i Masalas hanno cambiato forma e formazione nel corso della loro carriera, passando da un esordio etichettato come “rock demenziale” a canzoni più ricche di sostanza con il nuovo Croce (della Nazione), progettato lungo due anni e ricco di sonorità rock e di canzoni d’autore.

Masalas traccia per traccia

Dopo Duccio, che si diletta con giochi di parole e toscanismi su una base rock piuttosto energica, ecco Sanguefreddo: le sonorità sono robuste e consistenti, il discorso si apparenta allo stoner e all’hard rock dei tempi andati, con tanto di assolo finale di chitarra. Giro di chitarra e atmosfere da far west per Madonna della forca, tra Dante, Villon e Clint Eastwood.

Si resta su toni intimi per l’introduzione di Benandante, ancora con le chitarre bene in vista e con un’attitudine narrativa piuttosto resistente. Dopo l’intermezzo di Fantasma #1, si procede con Sarno/Sdraiati sulle bombe: la canzone fa riferimento alla tragica frana del ’98 che uccise 137 persone nel comune in provincia di Salerno, una delle molte disastrose colate di fango che hanno colpito, non solo metaforicamente, la storia recente del nostro paese. L’atmosfera del brano è comprensibilmente cupa, mentre la seconda parte della canzone si irrigidisce e passa dal pubblico al privato, alzando al contempo la voce.

Anche Occhi tristi, evidentemente, non porta con sé una gran voglia di scherzare: il suond è piuttosto lineare, qualche accenno di tastiere che si ferma sullo sfondo, qualche effetto a variare il percorso. Dopo Fantasma #2 si riparte da Maledizione, che parla di galeoni, citando i classici marinari. Umor nero a palate anche in Ulan Ude, che con un giro ripetuto di chitarra e l’armonica a bocca pavimenta un brano particolarmente cupo.

Non che l’umore migliori con Fosca, recitato dantesco su ritmi blues. Il disco si chiude ancora su sentimenti blues con Clara, ma qui i sentimenti sembrano più attenuati, forse per il giro lento di chitarra, forse per il modo di cantare ironico e disincantato.

Posto che lo sforzo di passare dal lato meno oscuro della canzone d’autore è lodevole, forse ai Masalas manca ancora un passettino, cioè rinunciare anche al vernacolo, senza per questo “ripulirsi” del tutto, perché le vie di mezzo convincono fino a un certo punto. Al di là di questo, piace molto la capacità di raccontare che emerge da molte delle canzoni, e la forza propulsiva di un sound spesso aggressivo e sempre intenso.

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