Mai vista una trilogia composta da due dischi? Succede, se il secondo disco non lo pubblichi, anche se ritieni che sia il migliore dei tre. Succede, se Gian Luca Mondo pubblica Petali.

Dopo l’esordio (Piume, 2010) il bluesman torinese ha infatti inciso Perle, ma non l’ha mai pubblicato, per motivi non chiarissimi. E ora arriva appunto Petali, un disco rabbioso, aggressivo e sporco, con molte idee che fanno a cazzotti tra loro per avere il giusto spazio.

Si parte con la cruda e intensa Il dilemma del porcospino, che aggredisce sia a livello di testo sia a livello musicale, con un ritmo incalzante e brusco.

Non che Crapshooter regali sprazzi di serenità, anzi incupisce ancora di più, con un panorama minimalista un po’ Tarantino un po’ Sin City, garantito principalmente dalla chitarra, ma l’arrivo dei fiati colora di Calexico il pezzo.

L’atmosfera western non si smarrisce nemmeno in Rivelazioni, che però vira in elettrico, con un finale che tende quasi al noise. Mai pensato a come sarà il vostro funerale? Gian Luca Mondo sì, e ci ha fatto una canzone, Istruzioni per Lipe: si tratta di istruzioni piuttosto dettagliate, in forma di ballata.

Petali cambia sonorità, utilizzando l’elettronica, ma non cambia umore né voglia di azzannare. Valentina Blues (per Carr) introduce a musica da pub fumoso, con dentro qualcosa di Capossela e qualcosa di Buscaglione.

Nebbia tra gli scacchi è altrettanto blues, ma più aperta e con una chitarra che viaggia a briglia sciolta. Lo sbocciare della magnolia è tra le più morbide del disco, come se dopo tanta rabbia ci fosse bisogno di un po’ di riposo, ancorché relativo.

Dimenticare gli angeli prosegue nel mood ora più ammorbidito, mentre Il punto del cinghiale (per Skip James) ha una lunga introduzione strumentale, e prosegue in atmosfera di blues sussurrato.

Pochi i sussurri in Labbra, che torna ad aggredire come a inizio disco. Io te lei lui si inabissa in discorsi che parlano di amore/sesso/morte e dintorni svariati.

Petali mette in mostra tutte le qualità di Gian Luca Mondo: la capacità di scrivere canzoni che guardano in profondità e senza mai nascondersi dietro un dito in primis.

Ma anche una capacità di utilizzare le sonorità giuste nel contesto giusto, di togliere ciò che c’è da togliere, di aggiungere quando è necessario, di utilizzare i suoni senza farsene soggiogare. E se “Perle” è anche meglio di “Petali”, non sarebbe male dagli un ascolto.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi