Si chiamano Søren e sono nati nel 2013 a Roma. Basato sulle voci e gli strumenti di Matteo Gagliardi, Diana D’Ascenzo e Giulia Cianca, il progetto comprende però musicisti da ogni parte del mondo. Il nuovo disco si chiama Stargazing e abbiamo rivolto qualche domanda alla band.

Potete riassumere la vostra storia fin qui e spiegare il nome della band?

Søren nasce nel 2013 ma con Diana e Giulia ci conosciamo da sempre. E’ capitato che io stessi scrivendo un pezzo (diventato poi Houses) e che avessi bisogno di una chitarra solista. Più o meno in contemporanea Diana stava scrivendo alcuni pezzi (tra cui In My Heart) e voleva arrangiarli in maniera più ricca ed è stato così che abbiamo iniziato a collaborare. Søren ovviamente è un omaggio a Kierkegaard, filosofo di cui siamo grandi estimatori.

Dite che Stargazing nasce dalle “nozze alchemiche tra le melodie folk e la musica gotica”. Potete raccontare come le avete celebrate?

La ricerca di una nostra precisa identità musicale è stata un percorso molto lungo e che ci ha tenuti impegnati per molto tempo. Liberarsi il più possibile dai condizionamenti esterni per conquistare una propria capacità espressiva richiede un lavoro distruttivo non dissimile dalla nigredo alchemica, per giungere poi alla costituzione di qualcosa di nuovo, che nasce dall’unione tra la luce e l’oscurità e in definitiva, tra il sole e la luna.

Una delle prime decisioni che abbiamo preso riguardo l’album è stata di realizzare un’opera interamente acustica. Alla musica da camera di un tempo si è andata a sostituire la “musica da cameretta”, composizioni spesso di infimo valore, suonate male se non completamente sequenziate e del tutto sintetiche. Questo disco si pone in controtendenza rispetto a questo modo di vedere le cose. Da tastierista ovviamente questo è stato prima di tutto un sacrificio personale, ma non abbiamo fatto questo disco per alimentare il nostro ego bensì per creare qualcosa di bello che possa restituire alla Musica ciò che la Musica ci ha dato finora.

Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nel realizzare il disco, se ci sono state?

Il disco è stato realizzato con un team di collaboratori provenienti da ogni parte del mondo, che hanno registrati nei loro studi casalinghi. A volte ci sono state delle incomprensioni dovute alla lingua, altre volte problemi legati ai fusi orari. Questo però ci ha permesso di lavorare in maniera più fluida rispetto a quanto non possano fare le classiche band rock.

Come nasce “The Foolish One”?

The Foolish One è stato uno degli ultimi brani a essere aggiunto al disco. A un certo punto mi sono ritrovato in mano una vecchia improvvisazione di Diana e mi sono reso conto che sul disco non c’era nulla che parlasse realmente di come ci si sente ad avere la Sindrome di Asperger. E’ come se tutti i brani ruotassero attorno al problema senza mai centrarlo appieno… quindi ho iniziato a ricavarci delle strofe, un ritornello e il liberatorio assolo finale e alla fine è diventata la terza traccia dell’album.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

Nulla di più semplice: qualche chitarra, un basso, dei violini, un violoncello… Il disco poi vive di diversi momenti, in alcune canzoni la sezione ritmica “sa molto di terra”: c’è la totale assenza dei piatti, ci sono il tamburello, il cajon, la batteria suonata solo sui tom. In altri brani abbiamo fatto scelte differenti: c’è la batteria “metronomica” (ma pur sempre acustica) di Houses, il refrain esplosivo della title track, la drum machine di Everyday Heroes II. Pur rimanendo nel quadro complessivo di quello che pensavamo sarebbe stato Stargazing ci siamo presi ampissime libertà di contaminare tutto nel modo che ci sembrava più opportuno.

Potete descrivere i vostri concerti?

Stiamo iniziando a strutturare la nostra attività live proprio in questo periodo, quindi presto ci saranno delle novità. Fare concerti è un nostro obiettivo futuro, ma la cosa più importante resta il lavoro in studio, che è l’unico modo per creare qualcosa che possa rimanere nel tempo.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?

Sicuramente la Camerata Mediolanense è stata per me un punto di riferimento costante. Ho tre copie di Musica Reservata (di tre edizioni diverse) e la setlist originale del loro ultimo concerto a Roma del 2014 appesa al muro. Credo sia importante, pur con le dovute differenze, avere un punto di riferimento di totale eccellenza a cui mirare costantemente.

Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?

Come dicevo prima abbiamo fatto di tutto per cercare di liberarci da ogni tipo di influenza esterna ma posso facilmente citare tre brani che ascoltavo moltissimo nel periodo in cui stavamo lavorando a Stargazing: Amenta Descending (dei Whispers in the Shadow), Tremo et Taccio (della Camerata Mediolanense) e infine Ecce Homo (di Inchiuvatu).

Søren traccia per traccia

SørenDopo la rapidissima intro di Reaching, ecco In my heart, spunto melodico e con struttura, influssi e intenzioni folk. Più cupa The foolish one, con voce maschile sussurrata e un mood decisamente notturno, rischiarato soltanto in parte dalla chitarra elettrica. Anche Our Sky vede la voce maschile alla guida, e anche in questo caso l’umore è plumbeo, ma le voci femminili arrivano a sganciare qualche ormeggio.

La churchilliana Blood, Sweat and Tears rivela una nota di determinazione maggiore rispetto alle precedenti, pur basandosi sempre su schemi piuttosto semplici e lineari. Houses torna a mostrare lati meno morbidi della band, soprattutto grazie a un drumming molto regolare e insistito e ad atmosfere che fanno pensare all’indie folk e all’alternative country americano.

Everyday Heroes, dopo una rapida introduzione, mette su percussioni quasi house, per un pezzo ancora virato in noir. La title track Stargazing lavora su ceselli più minuti, abbassa i toni ma si fa anche minacciosa, con una coda tutto sommato inaspettata. Si chiude con Under a Crimson Moon, molto ritmata e in grado di allargarsi piano piano, fino a un finale quasi orchestrale (e a una sorpresa conclusiva).

Un disco interessante, quello dei Søren, band aperta e di composizione fluida, ma con una personalità già molto ben definita e uno stile notevole.

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