Fiorenzo Mengozzi è attivo da diversi anni come membro dei Marcabru. Tuttavia, come lui stesso spiega, “fermo non sa stare” e quindi, pur superando qualche difficoltà momentanea, ha cercato ulteriori forme d’espressione vestendo i panni di Uomo a Vapore, spettacolo teatrale con soundtrack, che ha messo in scena e che ora vive una vita propria sui media digitali. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
La tua esperienza come membro di band è piuttosto cospicua, ma questo è il tuo esordio da solista. Che cosa ti ha spinto a questa scelta proprio ora?
È merito di circostanze fortunate ed alcune persone importanti. Da molto tempo avevo la pulsione di creare qualcosa di più personale, ma ho dovuto superare un blocco psicologico dal quale non sono ancora pienamente uscito. Negli anni avevo tentato varie volte di comporre musica, mi capitava spesso di sentir ronzare nella testa brandelli di melodia o idee musicali che mi esaltavano e facevano accendere una lampadina.
Puntualmente però capitava, cinque minuti dopo, che la medesima idea mi apparisse debole, insensata, banale e questo mi faceva sentire incapace. Fortunatamente non ho mai buttato nulla del materiale prodotto. L’occasione avvenne nel 2014 quando, mentre con i Marcabru stavano terminando le registrazioni dell’album “Fotografi”, ci venne chiesto di creare e incidere la colonna sonora della mostra-evento “Padretempo”.
Serviva materiale nuovo e subito, così presi coraggio e proposi due miei brani strumentali per accompagnare le voci di altrettanti poeti. La cosa funzionò bene, ricevetti complimenti e questo mi diede fiducia. Parallelamente un’amica, che stava cercando di risolvere un problema di creatività simile, mi raccontò il suo percorso e mi spronò a tal punto che decisi di provare a buttarmi, cercando di realizzare finalmente qualcosa di mio.
Un’altra persona decisiva è stata il mio grande amico e artista di talento Fritz Castello il quale, diventando il mio braccio destro in tutta la produzione di “Uomo a vapore”, mi ha supportato e spronato ad esternare quella parte di me che, per un meccanismo mentale diabolico, era sempre rimasta chiusa dentro la mia testa.
“Uomo a vapore” nasce come colonna sonora di uno spettacolo teatrale. Puoi raccontare qualcosa dello spettacolo e della sua genesi?
Il progetto Uomo a vapore nasce dalla volontà di esprimere la difficoltà dell’uomo contemporaneo nel gestire l’ipervelocità richiesta nel nostro quotidiano e di affrontarla riscoprendo un modo di vivere più umano e consapevole, meno frenetico e distratto. Uomo a vapore in sostanza è colui che riesce a trovare un equilibrio, che usa la tecnologia senza esserne fagocitato, che si prende il tempo per assaporare, capire, ascoltare, riscoprendo il piacere della ritualità di certi gesti.
Il nome Uomo a vapore rimanda immediatamente alla rivoluzione industriale, a un mondo che allora appariva nuovo, veloce e innovativo, ma che a noi oggi appare vetusto, sorpassato, totalmente privo di ciò che chiameremmo “tecnologia” o “modernità”. Diventa quindi una grande metafora che rappresenta un punto di incontro, un modo di vivere che possa mettere in armonia i vari elementi.
Chiaramente sono tutti concetti che difficilmente avrei potuto esprimere solamente con la musica, perciò ho deciso di affidare i miei pensieri alla voce di Roberto Mercadini, attore monologhista e “poeta parlante” di grande impatto, assieme al quale ho costruito lo spettacolo teatrale. Si tratta di una lunga riflessione, ironica e profonda, tra paradossi e racconti in continuo dialogo con la musica suonata dal vivo. Un intreccio di rumori meccanici, storie e melodie con strumenti musicali antichi e moderni.
Mi sembra che nella soundtrack ci sia una certa tensione tra ispirazione “tradizionale” e suoni più contemporanei che spesso emergono. Quali erano le tue idee di base e le tue intenzioni quando hai iniziato a comporre?
Il concetto dal quale sono partito per la costruzione di questi brani è quello di “meccanismo”. Ruote dentate di dimensioni diverse, leve, molle, sono elementi con un proprio movimento e ritmo indipendente, ma concorrono egualmente al funzionamento armonico dell’insieme. Tutto ciò si traduce in ritmi dispari che si intersecano in maniera bizzarra, andamenti discontinui tra ritmica e melodia con accostamenti azzardati.
Ho campionato e messo in loop il rumore di alcuni suggestivi attrezzi meccanici (la macchina per scrivere, il campanello della bicicletta, la rotella di un vecchio telefono eccetera), creando un tappeto ipnotico sul quale poi ho incastrato delle linee melodiche e, nei brani più robusti delle ritmiche di batteria.
Dal punto di vista stilistico credo che nei brani di “Uomo a vapore – Soundtrack” affiorino molti generi musicali che amo e che ho frequentato, dalla musica tradizionale al grunge, passando per il post-rock e la sperimentazione. Non mi sono dato limiti da questo punto di vista, ho semplicemente sviluppato l’idea che di volta in volta ha preso una propria direzione, spesso sorprendendomi. Il fine ultimo, come per qualsiasi colonna sonora, è stato quello di essere suggestivo e stimolare riflessioni facendo leva sugli stati d’animo.
Tutti i brani partono da spunti “rumoristici”, per lo più quotidiani, spesso dal sapore vintage: puoi spiegare i motivi della scelta?
Per un uomo del secolo scorso come me, molto affascinato dal passato, dal polveroso, dai ricordi, il fatto di utilizzare e mischiare alla musica rumori di oggetti meccanici desueti è stata una scelta quasi obbligata. Oltre al potere evocativo che possiedono, i rumori meccanici hanno una grande funzionalità ritmica che mi ha sempre affascinato.
Da batterista e percussionista mi sono spesso incantato ad ascoltare un rumore ripetitivo pensandolo come ritmo musicale, è forse una deformazione professionale. Inoltre questi suoni conferiscono alla mia musica un sapore autentico, manuale, artigianale, concetto che poi ho portato all’estremo arrivando a produrre il disco in vinile in copie limitate, numerate e completamente stampate a mano con la tecnica della linografia.
“Uomo a vapore – Soundtrack” è uscito, in accordo con la dicotomia tra antico e moderno che sta alla base dell’intero progetto, solamente in versione digitale e vinile
Sei al lavoro su brani nuovi? Puoi anticipare qualcosa?
Dopo la realizzazione di questo primo lavoro la produzione non si è più fermata e sto accumulando parecchio materiale che poi utilizzerò in vari ambiti. Amo lavorare per progetti, concentrarmi su un tema specifico e cercare la forma migliore per rappresentarlo. Per il progetto d’esordio ho optato per uno spettacolo teatrale e ne sto preparando un altro incentrato sulle versioni originali delle fiabe dei fratelli Grimm.
Contemporaneamente sto lavorando a un paio di progetti prettamente musicali da portare nei club. Insomma, fermo non so stare e mentre continuo a lavorare con le varie band, la mia identità da solista continua a evolvere alla continua ricerca di occasioni per crescere e collaborazioni che possano arricchirmi.
Uomo a Vapore traccia per traccia
Si parte da Typewriter, che mette in scena appunto soltanto dita che picchiano sulla macchina per scrivere, almeno sulle prime. Poi entra un giro di chitarra classica e altri strumenti, come la melodica. Il brano si muove in senso ondulatorio, cullando l’ascoltatore.
Si prosegue con Alarm Clock, che dopo la sveglia sceglie invece suoni elettronici e una ritmica consistente, mentre della parte melodica si occupano archi e corde.
Morse comincia dal codice, trasmettendo piccoli segnali sonori che diventano ipnotici lungo la strada, pur ancorati a terra dal lavoro del violoncello. Old Rotary Phone invece coniuga il giro di rotella del vecchio telefono con un giro di basso particolarmente incisivo e plastico, presto integrato dal lavoro del violoncello.
Eccoci a idee più folk e agresti con un Vinyl che presenta qualche inciampo voluto. Ci sono i gabbiani all’interno di Ship’s Fog Bell, con un brano che si rivela più “naturalistico” degli altri, allargando lo scenario oltre il mero spunto rumoristico iniziale. Qui è la chitarra a prendersi la scena, disegnando traiettorie lucide.
Con 16mm Projector la chitarra rimane protagonista ma porta in campo sentimenti molto più contrastati e acidi. Crank ha un andamento moderato ma con una certa inquietudine.
Ritorna la calma con Bicycle Ring, non solo per il campanello della bicicletta ma anche per un atteggiamento generale molto tranquillo e quasi fiabesco. Windmill è ancora un territorio in cui la chitarra opera con traiettorie morbide e vicine al blues.
C’è il basso a sostenere il vapore di Steam Train, con un giro significativo e ben tessuto. Ci sono invece passi e sospiri a riumanizzare il discorso di Breather, la traccia conclusiva del lavoro.
Uomo a Vapore/Fiorenzo Mengozzi confeziona un disco ricco di sensazioni e spunti, su linee semplici ma ben cesellate. Nato come colonna sonora, il disco strumentale è perfettamente godibile anche da solo, e mette in evidenza il talento creativo e le qualità dell’esecuzione.