Esce domani per Sinusite Records Pietraia, il terzo lavoro dei Kabikoff, band che ha conservato tra le proprie fila il solo Alberto Turra come unico superstite della formazione nata nel 2000.
L’attuale line-up conta su William Nicastro (Figli di Madre Ignota, Sarah Stride) al basso, Sergio Quagliarella alla batteria (Mamud Band, Bisca, Carlo D’Angiò, Opa Cupa) e Kino Deregibus (Osaka Fire Dragster, Pornoriviste e Coro delle Voci Bianche della Scala) cantante.
Il disco si iscrive nel filone metalcore/mathcore, che alla potenza e alla forza di ribellione del punk e dell’hardcore unisce i ritmi e le urla del thrash metal, ma con libertà e propensioni all’assolo che derivano dal jazz: tutti elementi presenti in quantità in Pietraia.
Kabikoff traccia per traccia
Con dissonanze e divagazioni sonore che possono richiamare alla mente i primi Marlene Kuntz (ma anche Alberto Fortis, Rino Gaetano oppure svariate punk band degli anni Settanta) si parte con la multistrutturata Tuonodicute, che parla di perdita di capelli, viaggi spaziali, il diritto all’harakiri e alcune altre bazzeccole.
Altre follie assortite in Buonanotte, che assomiglia a una filastrocca hardcore, ma con assoli e rabbia sfrenata. Pupilla apre con un rotondo riff piuttosto heavy, ma anche con robuste slappate di basso; l’evoluzione del pezzo rispetta lo schema di un rock accelerato e molto urlato.
Inqura torna ad allestire dissonanze e incoerenze volute; notevoli (ma per certi versi anche inquietanti) le capacità di Deregibus di variare l’intensità dell’urlo.
Calli è uno strumentale molto fluido e magmatico, parzialmente kingcrimsoniano, che lascia scorrere le abilità (notevoli) dei musicisti impegnati nel discorso.
Ma dopo la pausa, la voce di Deregibus torna a dardeggiare su Polpa, mentre alterna forza e sottigliezze con Psychogiraffes. Titani e tartari corre di nuovo su ritmi mathcore, inserendo pause (non particolarmente meditative) qui e là, con brevi assoli a mettere in evidenza la plasticità del suono.
Si chiude con Paura di niente, che di nuovo percorre strade accidentate e cambi di ritmo, parlando agevolmente di autopunizioni fisiche e di follie assortite.
Inevitabile pensare a gruppi stranieri dei diecimila sottogeneri del metal, ma la band, che non a caso ha scelto di cantare in italiano, condivide alcuni elementi di base anche con il versante più ribelle della canzone d’autore.
I pezzi della band spesso hanno un andamento per nulla rettilineo, procedendo in ordine sparso verso una meta nota soltanto ai musicisti, ricordando in questo lo stile di certe correnti del jazz.
Ma l’abilità tecnica e la pienezza di contenuti della band non si può mettere in discussione: Pietraia agita pensieri a livelli sovrapposti, spesso in guerra gli uni con gli altri, fomentando l’ammirazione nei confronti della band. E la confusione mentale, ma se state leggendo questo blog e ascoltate questo tipo di musica, non è condizione estranea per voi.