Si chiama South Beat il nuovo disco dei Canto Antico, folk band impegnata nel recupero della tradizione napoletana e del meridione italiano, inserita però in un contesto contemporaneo (qui la recensione). Ecco la nostra intervista con la band.
Questo album rappresenta per certi versi una svolta per voi: da dove nasce la voglia di scrivere brani vostri da affiancare alle riletture della tradizione?
Da anni abbiamo l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura musicale del sud Italia cercando di non trascurare la nostra identità artistica e la nostra personale espressività.
Quindi il passaggio dalla riproposizione della tradizione alla scrittura di brani originali è stato abbastanza naturale e conseguente al bisogno di esprimerci.
Di che cosa parlano e come nascono le canzoni che avete scritto?
Le canzoni parlano di noi e delle emozioni che proviamo e viviamo nell’affrontare quotidianamente le sfide che il mondo attorno a noi ci lancia. Può sembrare retorico, ma vivere oggi non è sempre facile.
A volte ci sentiamo delle persone fuori posto e immaginiamo di essere un frutto fuori stagione come un Fico a dicembre. In un mondo che ci scavalca è importante chiedersi quanto si è disposti a fare scelte radicali per essere felici, dove si pone il limite della sopportazione di una realtà non sempre giusta.
A questa domanda risponde anche la Zà vecchia nel brano Gallina, sicuramente il più personale tra gli altri: una donna che per anni ha vissuto …come una formica… mettendo da parte ogni anno una lacrima per aver scelto di rinunciare a se stessa, …ma ora è imbizzarrita e canta fino a centocinquanta volte la propria libertà.
Mi piacerebbe conoscere i criteri di scelta delle canzoni tradizionali che scegliete per una riproposizione: che cosa è decisivo per decidere che una canzone è adatta a una rilettura?
Le scelte sono diverse, a volte emotive altre volte più ragionate. Per esempio proporre Cicerenella è stato per noi un modo di confrontarci con uno standard della musica tradizionale napoletana, un po’ come avviene nel jazz.
Ma è anche un brano che ascoltiamo da quando siamo piccoli e sia io che Francesca abbiamo tanti ricordi legati a questo pezzo. Quindi ci è venuto abbastanza spontaneo raccontare con il nostro linguaggio attuale la storia del piccolo cecio.
Da dove nasce la scelta di fare una cover di “Malarazza”?
Lo consideriamo un classico della canzone italiana, uno dei più riusciti tentativi di portare al grande pubblico un testo tradizionale, in questo caso un tradizionale siciliano.
Non solo un omaggio al grande Modugno, ma anche proporre una possibile risposta alle domande di Fico a dicembre laddove metaforicamente diciamo: ti lamenti, ma che ti lamenti, prendi il bastone e tira fuori i denti…