Il giorno finale del festival calabro vede alla produzione la collaborazione tra Be alternative e Color Fest. Ne viene fuori una line up post-punk dallo sguardo europeo capitanata da shame e The Murder Capital. Ecco il racconto della serata.
All’annuncio della line-up ufficiale del Color Fest, il terzo e ultimo giorno, segnato dalla collaborazione in produzione tra lo stesso Color Fest e Be Alternative (altro festival calabro), mi sembrava il meno accattivante. La defezione all’ultimo momento dei Dov’è Liana, sostituiti dai Mind Enterprises, mi lascia con l’amaro in bocca. La realtà, però, è ben diversa: questa ultima giornata è una finestra preziosa per capire come la musica dal vivo venga interpretata fuori dall’Italia.
A dimostrarlo ci pensa subito Ekkstacy, che apre la giornata sul palco in pineta. Il giovane cantautore canadese è un omone altissimo e ricoperto di tatuaggi, uno con cui non vorrei mai litigare. È diventato rapidamente un’icona della scena indie internazionale e dal vivo mescola post-punk, indie rock e new wave in un set dominato dal suono della batteria.
Ekkstacy non ha letto i dieci comandamenti del grande live (oppure ne ha una copia tutta sua) e in un’ora di concerto si scola due bottiglie di vino bianco, precisando pure di non aver mai bevuto niente di così buono. Eppure resta sorprendentemente lucido, tanto da scendere tra la folla per sedare un disguido tra due ragazzi del pubblico nato da un pogo un po’ troppo veemente. Guardo la scena un po’ stranito ma mi rendo subito conto per lui è la normalità. Ekkstacy è pura improvvisazione. Forse ne servirebbe un po’ anche nei live in Italia.
A questo punto, incuriosito da questo modo diverso di interpretare la musica dal vivo, mi fiondo al concerto al tramonto dei The Murder Capital. La band post-punk irlandese arriva in Italia per presentare Blindness, il loro ultimo album. Appena salito sul palco, James McGovern, frontman della band, cattura immediatamente il pubblico intonando una serie di bestemmie e cattive parole in italiano. Mi guardo intorno, il pubblico attorno è molto eterogeneo, ci sono persone adulte pronte a pogare con molti ragazzi e ragazze. Accanto a me trovo un papà di Roma, pronto per cantare a squarciagola “le canzoni dei miei campioni” (e cito).
Sopra la mia testa, alcune persone surfano la folla e James invita a farlo più spesso. Il live è molto suonato ed energico, non privo di imperfezioni tecniche, e con una forte impronta politica. Tra una canzone e l’altra, infatti, James ricorda la guerra in Palestina mentre la bandiera sventola sul palco per tutta la durata dell’esibizione. Così, la cifra stilistica, seppur elevatissima, passa in secondo piano e lascia spazio all’umanità della band.
Senza soluzione di continuità, in pineta attaccano con Kappler gli Offlaga Disco Pax per celebrare il ventennale di Socialismo Tascabile. Ai loro concerti ho sempre l’impressione di essere a una lezione di storia delle scuole superiori. Max Collini, voce narrante della band, è un maestro paziente che prova a spiegare al pubblico cosa volesse dire il comunismo negli anni ’70. Il momento più intenso arriva con il commiato per Enrico Fontanelli, accolto dagli applausi a scena aperta della pineta. In un batter d’occhio si arriva a Robespierre, che chiude il concerto della band emiliana. Percepisco negli sguardi delle prime file una strana combinazione di tristezza e gratitudine, come se volessero ascoltare qualche altra canzone.
Una piccola corsa per raggiungere il parco in spiaggia ed ecco che gli shame salgono sul palco. Anche in questo caso, l’aspetto della musica suonata è predominante, insieme a una forte voglia di dare spettacolo. Charlie Steen, voce della band, decide di surfare sugli addominali di uno spettatore, a sua volta sollevato in aria dal resto del pubblico.
La vicinanza con il pubblico è, senza dubbio, un fattore importante: Charlie, infatti, scende più volta dal palco per cantare sulle transenne, come se avesse bisogno dell’energia che gli spettatori gli trasmettono. Nel frattempo, sul palco, il bassista si esibisce in svariate piroette e capriole sul palco, degne del Cirque du Soleil. E’ un concerto davvero energico, chiuso con la richiesta di un ultimo pogo da parte della band. Detto, fatto.
Alla fine del live degli shame, le energie residue iniziano a scarseggiare. C’è tempo solo per gli ultimi due live: quello dei Mind Enterprises, che riaccendono l’anima del pubblico con un’esibizione tamarra al punto giusto, intrisa di sonorità italo disco anni ’90, e il dj set di Populous, con annessa invasione di palco da parte del pubblico.
Così cala il sipario sulla tredicesima edizione del Color Fest. Ma, come ricorda lo stesso Populous al termine del suo set, la macchina è già in moto per l’edizione numero quattordici. Ripercorro per l’ultima volta la strada della pineta per poi passare a vedere il palco in spiaggia, in cui sono già iniziate le operazioni di smantellamento.
Sono stati tre giorni lunghi, caldi e densi di emozioni di un festival che ha, ancora, tantissima voglia di crescere. Tre giorni che hanno visto la Calabria essere al centro della scena musicale italiana e non. Rileggo per l’ultima volta Quando sulla riva verrai, lo slogan dell’edizione, preso in prestito da Iosonouncane. Penso che siamo davvero venuti a un festival a un passo dalla riva del mare. Se non è questo il paradiso, sicuramente ci va vicino.


















