Mike Orange non ha problemi a giocare con l’ironia, nelle sue canzoni, che partono dal punk per arrivare al cantautorato contemporaneo, l’ha sostanzialmente sempre fatto. E continua a farlo anche con Poeta, nuovo singolo che inaugura il percorso verso l’ep Aranciata amara, che uscirà entro fine anno per Medea Production.
“Poeta” è un brano che gioca con ironia e amarezza sul ruolo dell’artista. Cosa ti ha spinto a raccontare questa visione così schietta?
In realtà, come spesso accade, è nato tutto in modo piuttosto inconsapevole. Qualche anno fa curavo la programmazione di un locale a Milano e, tra le varie cose che stavamo mettendo in piedi, c’era anche un poetry slam. Conoscevo alcuni poeti de La Compagnia delle Indie e ci venne l’idea di creare uno spettacolo.
Mi proposero di formare una band live e di scrivere una sorta di sigla per il format — ed è così che è nata questa canzone. È una canzone molto schietta, perché non credo negli artisti “in contatto con il divino”. Credo che l’arte debba essere tangibile, concreta, e capace di pescare nel mondo reale. Per me è sempre stato così: più che ispirazione mistica, è relazione, contesto, esperienza. E poi è un avvertimento a me stesso di non diventare mai così!
Nel testo citi figure e professioni diverse, mettendo in discussione il modo in cui vengono percepite. È un attacco al’ipocrisia del linguaggio o un invito a essere più autentici?
Sicuramente la seconda. L’ipocrisia della nostra società si riflette molto chiaramente nel linguaggio. Certo, serve rispetto per tutte le figure e le professioni, ma forse mettere un po’ più i piedi per terra aiuterebbe anche a riconoscere meglio il valore delle professioni legate ai mondi artistici e culturali.
Se pensi che chi fa l’artista viva in un mondo separato da quello del muratore o dell’idraulico, o se credi che fare arte significhi essere scollegati dai significati concreti della vita, allora come puoi aspettarti che le persone cosiddette “normali” appoggino la tua causa? L’arte non è un altare, è un mestiere. E come tutti i mestieri, ha bisogno di essere compreso, vissuto e riconosciuto nel suo impatto reale.
La canzone parte idealmente dal Pére Lachaise: perché hai scelto questo luogo simbolico per iniziare il viaggio del brano?
È uno dei miei posti del cuore. Nell’unica volta in cui sono stato a Parigi, ho voluto andarci apposta. Non tanto per Jim Morrison, quanto perché quel luogo ha, secondo me, un valore artistico davvero profondo. È un posto bellissimo, nonostante sia un cimitero — e a me i cimiteri piacciono molto. Se non ci siete mai stati, vi consiglio di visitare il Monumentale a Milano. Il Père-Lachaise ha qualcosa di magnetico: è un luogo da poeti maledetti, perfetto per chi sente di appartenere, anche solo un po’, al cliché dell’artista
“Poeta” anticipa l’ep Aranciata Amara: quanto questo singolo rappresenta il tono e le tematiche del nuovo lavoro?
Sembra non c’entri nulla con il disco in uscita, perché è una canzone caustica, provocatoria, in perfetto stile punk — anche nel tono, secondo me. Il ritornello, se ci metti una distorsione, diventa decisamente rock. Il resto del lavoro ha influenze molto più beatlesiane e legate alla canzone italiana. Lo so, può sembrare una bestemmia citarle insieme, ma in realtà non lo è affatto. Anzi.
Il disco rimane una riflessione amara e sincera sulla vita, e credo che Poeta si incastri bene in questo solco. Alla fine, prendi in giro le persone perché vorresti che si comportassero diversamente. È una critica, sì, ma nasce da un desiderio di cambiamento, non da superiorità.
Nel tuo percorso c’è sempre stata una componente live molto forte. Come pensi che questo brano si trasformerà sul palco?
Credo che, al pari di brani come Alcol e Scotch del mio lavoro precedente, rappresenterà la parte più punk del concerto. Sarà molto divertente proporla dal vivo: ha quell’energia ruvida e provocatoria che funziona bene sul palco, soprattutto in contrasto con le atmosfere più melodiche del resto del disco.
Nella tua esperienza di scrittura, quanto contano ironia e disincanto come strumenti per raccontare la realtà?
Secondo me sono fondamentali. L’ironia e l’autoironia sono strumenti che ti tengono con i piedi per terra, ti aiutano a guardare le cose con maggiore oggettività e distacco. Il disincanto, in fondo, è una conseguenza naturale di questo atteggiamento. L’ironia ti permette di attraversare la realtà con uno sguardo più lucido, meno appesantito, e forse anche più onesto.
