Chissà com’è è il nuovo album di Le rose e il deserto, il progetto del cantautore Luca Cassano: tre anni dopo Cocci sparsi, l’artista calabrese torna a pubblicare un lavoro completo, ricco di suggestioni, attento ai dettagli.
Con un paio di featuring “mirati”, il cantautore si mette in viaggio insieme ad alcuni compagni, percorrendo memorie e sensazioni in cerca di un senso che i giorni rendono sempre più misterioso. Il tutto con una certa delicatezza che abbraccia e in qualche modo consola.
È un disco pieno di assenze “Chissà com’è”, pieno di occasioni sprecate, di persone che, per varie ragioni, non ci sono più. C’è chi se n’è andato per non ritornare, chi c’è ancora ma con un altro ruolo, un’altra forma, un’altra voce e c’è chi invece la voce l’ha persa e non sa più parlare. “Chissà com’è” però è anche un disco pieno di persone, persone splendide, che mi sono vicine o lo sono state: ci sono Claudio (Gnut) e Sara (dei vetri) che la loro voce me l’hanno regalata, ci sono i miei genitori, tutte le battaglie che ho combattuto con e contro di loro, c’è Agostino, che da qualche parte sta ancora suonando il contrabbasso con addosso la sua giacca di pelle rossa e la sua faccia da pirata calabrese. Ci sono dentro Pisa, Livorno, Damasco e su su, fino alla luna, dove magari si può arrivare con l’immaginazione per scattare una foto. “Chissà com’è” è un disco che santifica la vita, nonostante tutto. Un inno alla vita nonostante tutto, nonostante le persone vadano via e le occasioni si perdano, si sprechino. Un inno alla vita per come è, per come viene
Le rose e il deserto traccia per traccia
Si parte da Il tuo nome e si parte da un viaggio ipotetico, nella memoria e nella tristezza di una perdita molto importante e molto recente. Ma senza venire travolti dal dolore, in un brano acustico che si avvale della presenza vocale di Gnut e del flicorno di Raffaele Kohler. “E avere il coraggio di sentirmi ancora figlio/anche se di nessuno“.
Il disco prosegue con Acqua e limone, altro singolo di presentazione del disco, con un’aria leggermente più serena, con fiati, piano e percussioni che congiurano su un brano che racconta di pomeriggi per l’amore e della bontà delle cose piccole, anche se svaniscono e anche se non sono al tempo giusto.
C’è un altro spostamento in programma con Le fine del viaggio, che vede un altro duetto, stavolta con Sara dei vetri. Per una navigazione apparentemente senza meta, che assomiglia molto a una metafora per una relazione ricca di speranze ma anche di incognite, mentre il drumming sale piano a conferire nerbo alle sonorità del brano.
Cose che si confondono nei Segnali di fumo mentre di nuovo ci si sposta, per scoprire le Americhe oppure per seguire le rondini fino in Africa. Ci sono anche gli archi a sostenere un brano particolarmente pieno e fluido.
Gli occhi di gufo servono per vedere in Notturno, che ci conduce all’interno di una notte di fari spenti e di puzza di gasolio. Il brano è il più ruvido e muscolare del disco, apertamente rock a dispetto di una voce che accarezza più che tirare pugni. E infatti si parla anche di abbracci, ma visti da un astronauta.
A che cosa serve una vita senza poesia? Una delle domande centrali di Chissà com’è, title track che propone una serie di dubbi che vertono su un dualismo tra emozione e realtà, mentre le sonorità spingono in territori quasi da desert rock, con un attento lavoro sui dettagli sonori.
E’ necessaria una certa calma invece per percorrere le vie di Damasco, in una canzone che sa di diversi orienti, nonché di vacanze ormai passate, mentre il basso disegna una linea sinuosa che è dolce e piacevole seguire. C’è una storia d’amore che finisce in riva al mare ne L’alba è una bugia, che ha un tessuto sottile, mentre racconta di un “ti amo ancora” e di un “vaffanculo”.
Un’altra alba è, peraltro, possibile: si parte a occhi chiusi per un Risveglio acustico e molto soft. Ma il brano si fa pulsante mentre i ritmi cambiano e le tensioni salgono. Sale piano il sentimento di Imparare a saltare, mentre crepitano i tasti di una macchina per scrivere: c’è anche un piccolo recitato in mezzo alla canzone che è anche un’esortazione, in un testo che dialoga in modo molto aperto con la poesia.
Ultimo ricordo da cantare è quello di Capobanda, una spinta in avanti: “non c’è niente di peggio/che arredare un dolore“, ma appunto bisogna andare avanti a oltranza, alla ricerca di emozioni nuove e di storie che poi sarà bello raccontare.
Molte partenze e qualche arrivo nel nuovo album di Le rose e il deserto, che è una sorta di stazione emozionale nella quale si alternano fantasmi e presenze concrete. Un disco sicuramente “da cantautore” (e anche da poeta) ma che non si tira indietro quando c’è da animare un po’ la struttura dei brani e c’è da fare rumore.
La maturità non arriva da sola, va conquistata con fatica e dolore, e l’impressione che lascia questo nuovo lavoro di Luca Cassano è che la fatica e il dolore siano stati affrontati nel modo migliore, guardandoli negli occhi anziché cercando di schivarli. Non è facile, questo è chiaro, ma ne vale la pena.
