Altea propone Alto il mento, un brano che incrocia tensione emotiva e ricerca personale, trasformando la rabbia in uno spazio di consapevolezza. Il singolo costruisce una riflessione sul coraggio di rialzarsi, nonostante le ferite, mantenendo lo sguardo rivolto in avanti senza cancellare ciò che ha segnato il proprio cammino. La traccia assume la forma di un gesto netto, capace di restituire dignità al conflitto interiore senza ricorrere a maschere.
Il ritmo serrato sostiene una narrazione che rimane sospesa, evitando di esplodere del tutto e preferendo un andamento che conserva tensione e lucidità. La voce di Altea si muove in questa dimensione con equilibrio, guidando l’ascoltatore lungo un percorso che trasforma il turbamento in occasione di ridefinizione. Alto il mento articola così una forma di resistenza intima, dove la vulnerabilità non viene nascosta ma integrata come parte essenziale del processo.
La costruzione di un immaginario artistico
Il singolo si inserisce all’interno di una crescita artistica che affonda le radici nell’ibridazione di linguaggi e influenze. L’infanzia salentina, segnata dalla convivenza tra Taranta e spiritualità meditativa, definisce una formazione in cui ritmo e contemplazione si intrecciano. Questa doppia dimensione contribuisce a un approccio musicale che non ricerca spiegazioni, ma relazioni, generando uno spazio percettivo in cui voce e ascolto si incontrano.
Il percorso di studio in psicologia e la riflessione sulla Taranta come rito di guarigione consolidano un’idea della musica come strumento capace di attivare processi profondi. La scelta di pubblicare video essenziali, chitarra e voce, rappresenta una tappa nella costruzione di un’espressione più diretta, mentre l’esperienza napoletana e il successivo distacco dal collettivo Thru Collected aprono una fase di ricerca autonoma. Il silenzio diventa allora una pausa necessaria per ridefinire priorità e direzione.
Un progetto che vive nel rapporto con il pubblico
Il lavoro condiviso con Valerio Fatalò e Ben Romano dà forma a un live in costante mutazione, dove le canzoni si adattano al contesto e al momento. Le luci e le immagini curate da Francesco Savaglia amplificano questo carattere esperienziale, trasformando il palco in uno spazio che privilegia presenza e autenticità. Alto il mento si colloca in questo orizzonte come un tassello che conferma una ricerca centrata sulla relazione più che sulla rappresentazione.

