Emilya Ndme: guardarmi allo specchio e sentire che il mio aspetto è un “progetto”

emilya ndme

Un singolo ma anche un’affermazione: Glass Skin è il brano con cui Emilya Ndme, progetto genovese di alt-rock incentrato intorno a Lauretta Grechi Galeno, si fa portavoce di una battaglia culturale. Quella contro l’imposizione, nei confronti delle donne in particolare, di lenire gli effetti, di evitare di dichiarare, insomma di vergognarsi della propria età. Perché, si sa, è obbligatorio avere “una pelle come vetro”. Abbiamo posto qualche domanda in merito a Lauretta/Emilya Ndme.

Glass Skin mette al centro la pressione costante che il sistema esercita sul corpo femminile. Qual è stata l’immagine o la situazione concreta che ha acceso il bisogno di scrivere questo brano?

È nata da una sensazione molto semplice ma disturbante: guardarmi allo specchio e sentire che il mio aspetto è un progetto. Non un volto, ma una timeline da correggere. Ho scritto Glass Skin perché si parla troppo poco di questa situazione generale in cui le persone vengono classificate con etichette in base alla data di nascita, in particolar modo le donne, soprattutto se si espongono in qualche modo.

C’è tutto un vocabolario dedicato per definire una donna dopo i 30 anni, Basta leggere i commenti sui social: il modo in cui si parla dei corpi femminili cambia con l’età, ed è quasi sempre giudicante. E quello che fa più male è che questi giudizi non arrivano solo dagli uomini: è qualcosa di culturale.

Nel testo descrivi la giovinezza come una maschera imposta. Quali sono i meccanismi più invisibili attraverso cui questa aspettativa viene interiorizzata?

È qualcosa che ti infilano sotto pelle molto presto, spesso senza accorgertene. Ti dicono che “sembri più giovane” come fosse un premio, ti fanno i complimenti se “hai retto bene”, ti suggeriscono di non dire la tua età ma tutto con tono affettuoso, come fosse per il tuo bene.  

L’aspettativa si maschera da consiglio, da attenzione. E a forza di sentirla, finisci per crederci anche tu. Cominci a trattenerti, a modificarti, a pensare che certe cose ti siano precluse. Anche se razionalmente sai che non ha senso, hai paura di perdere spazio. E allora, spesso, ci stai dentro in silenzio.

Hai dichiarato che ogni ruga viene trattata come un crimine. In che modo questa narrazione incide sulla percezione che una donna ha di se stessa e della propria presenza nel mondo?

Ho la percezione che le donne si abituino a chiedere permesso per esistere. Glass Skin nasce  proprio da questo fastidio: non voglio chiedere il permesso di essere una musicista e di avere una faccia vera, voglio che la mia musica parli e non il tempo che passa.

Il brano assume la forma di un grido. Qual è il confine tra fragilità e rabbia nel processo creativo di Glass Skin

Le include entrambe.

Quanto pesa, nel tuo percorso artistico, la pressione di “apparire giovane” per essere considerata rilevante o competitiva?

È una pressione sotterranea, ma costante. Non pesa come un macigno, pesa come un rumore bianco: è sempre lì. Chiaramente nel mondo del music biz il fattore anagrafico è dato per scontato. Questo non impedisce a chi ha talento di continuare per la propria strada ma sia tutti d’accordo credo sul fatto che non si giochi ad armi pari. 

In che modo speri che questa canzone possa influenzare il discorso pubblico sulla rappresentazione delle donne e dell’età? 

Non ne ho la presunzione ma l’intenzione sì e sicuramente sta mettendo me nella condizione di parlarne e di alzare la testa di fronte ad un sistema culturale e sociale surreale a questo punto: lo dico dal palco quando presento Glass Skin che invecchiare è un privilegio non una colpa.

Pagina Instagram Emilya Ndme

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