All’inseguimento di diverse utopie si chiude la trilogia di dischi che ha dato inizio alla carriera di VeiveCura, alias Davide Iacono: è uscito pochi giorni fa Goodmorning Utopia (qui la recensione), e noi abbiamo intervistato Davide in merito.
Si chiude la tua trilogia: pensi di essere riuscito a tenere fede ai tuoi obiettivi iniziali? E pensi che sia un’operazione che ripeterai nel futuro?
Considero la discografia attuale di VeiveCura una trilogia, è vero, però quest’idea non è nata da un’imposizione. Nel 2009 mentre scrivevo i brani di Sic Volvere Parcas non avevo intenzione di iniziare a comporre una trilogia, e nemmeno nel 2012 quando è uscito Tutto è Vanità.
Ho preso coscienza di questa cosa solamente durante le registrazioni di Goodmorning Utopia, quando ho percepito il senso di chiusura di un percorso musicale, di un modo di vedere e vivere l’esperienza artistica.
Non so se in futuro seguirò dei percorsi che porteranno a un’altra trilogia, ma so quasi per certo che il lirismo che ci ha accompagnato dalla genesi del progetto a ora probabilmente lascerà spazio a un’altra veste.
Perché un disco dedicato interamente all’utopia? Pensi che siamo ancora capaci di sognare in maniera utopica o abbiamo troppo a portata di mano per spingerci con la mente più in là della nostra poltrona?
Tutti i dischi di VeiveCura hanno all’interno un elemento comune, una suggestione ricorrente. In Sic Volvere Parcas per esempio vi era il senso di “fatalità”, dell’abbandonarsi a ciò che ci è stato riservato.
In Tutto è Vanità il punto focale si è poi spostato sul binomio bellezza/vacuità, mentre in Goodmorning Utopia troneggia il duello esistenziale fra fallimenti, illusioni e voglia di riscatto. Come spesso mi capita, anche in questo caso il concept non è stato un’imposizione, ma una visione al completamento dell’opera.
Per quanto riguarda la seconda domanda, be’, posso dirti che dal mio punto di vista il diventare adulto sta comportando un progressivo affievolirsi di tutta una serie di desideri e speranze giovanili, per forza di cose.
Si ha sempre meno tempo e i segni che ti porti addosso non aiutano ad alleggerire responsabilità e problematiche. Però a volte inconsciamente chiudo gli occhi e rivedo quel mondo incantato che è l’Utopia, e mi ci perdo, illudendomi di poterlo trasportare nella mia vita reale.
Per il tuo disco precedente si era parlato quasi di “svolta pop”, mentre qui mi sembra che le “canzoni” in forma pop non siano più di un paio. Un ritorno al passato o un discorso più complessivo di equilibrio interno del disco?
L’ultimo disco unisce i binari dei due album precedenti e li conduce finalmente alla stazione d’arrivo. La vedo così. Goodmorning Utopia cattura da SVP le atmosfere malinconiche e da TèV prende in prestito l’orchestralità.
Hai ragione, nell’ultimo disco troviamo solo due brani che potrebbero essere definiti vagamente “pop” (“Young River” e “Oxymoron”), poi ci sarebbe anche “Baggio”, ma i tre minuti e mezzo di orchestra finale demoliscono le leggi del commercio musicale!
VeiveCura ha sempre prediletto costruzioni compositive vistosamente libere. Per quanto riguarda l’equilibrio dell’album credo si notino le due diverse sfumature che assumono i brani, da una parte il post-rock, la visual e l’ambient, quindi rarefazione, dall’altra parte l’innesto leggero di elettronica e la volontà poche volte assecondata di concretizzare il tutto in una struttura breve e concisa, con sfumature pop appunto.
Molti brani si muovono su uno schema di partenza morbida, seguita da un’accelerazione in un secondo tempo, come se avessi cercato di fare entrare piano l’ascoltatore nel clima giusto per poi alzare d’improvviso il volume. Vorrei sapere se è un effetto voluto e su quali strumenti nascono in prima battuta le tue canzoni.
Tutti i brani di VeiveCura nascono al pianoforte, se ci fai caso è l’unico strumento presente in tutti i brani. Cogli nel segno affermando che molti brani si sviluppano in crescendo. Questa è una caratteristica che mi porto dietro dalla genesi del progetto, a alcuni può suonare come una forzatura, ma io la vedo soltanto come un marchio di fabbrica.
Mi incuriosisce la parte di “Utopia” dedicata a Roberto Baggio: vorrei sapere come è nata l’idea e se c’entra qualcosa il “Nocturne for Norwood” dei Mercury Rev, che descrive una situazione comparabile.
Non conoscevo i Mercury Rev, grazie per la dritta! L’idea di Baggio nasce da una visione durante l’ascolto di una pre-produzione del brano. Mi sono perso in questo re di pianoforte ribattuto più e più volte fino a quando non si è tramutato in una corsa su un campo da calcio, quel giocatore col pallone incollato al piede era Roberto Baggio.
Questa è la visione iniziale, in seguito mi sono concentrato sulle sensazioni di poetica malinconia che ho provato ripensando a questo giocatore, dopo ho trasportato il tutto alla dimensione utopica dell’eroe sconfitto (il pallone d’oro che sbaglia l’ultimo rigore nella finale dei mondiali), infine ho eliminato dal testo la figura particolare di Baggio per dare un significato universale alle parole.
