Il primo tema in classe che diede il mio professore di italiano al liceo prevedeva due tracce: “Parliamo tanto di me” e “L’ultimo libro che ho letto”. A fine tema ci disse che in realtà era molto più personale e rivelatrice la traccia che parlava del libro altrui, e non di se stessi.

E forse funziona così anche quando un cantautore si cimenta con un disco di cover: perché in un proprio componimento ci si sforza nell’offrire la propria visione del mondo. Ma eseguendo lavori di altri bisogna per forza adattarsi ai pensieri altrui. Eppure è lì che emergono in tutta evidenza la propria personalità, le differenze, le peculiarità.

Viene da pensare così ascoltando il nuovo disco di Mirco Mariani, in arte Saluti da Saturno, che colleziona una serie di lontani classici della canzone italiana (più qualche “oldie” internazionale) e ne offre una rilettura decisamente personale.

Già la scelta delle cover può far intuire le particolarità del disco: non sarebbe stato difficile per Mariani, ex batterista di Capossela e di Enrico Rava, con un’esperienza di palco insieme a gente come Marc Ribot e Stefano Bollani, mettere lì qualche standard jazz, una spolverata di De André, un Gaber che va bene su tutto, magari aggiungere qualcosa di Afterhours o Marlene Kuntz e chiudere il discorso.

E invece no: dopo l’inedito strumentale e quasi industrial Shaloma Locomotiva, si apre la pista per La rosa bianca, prima e non ultima presenza di Sergio Endrigo nel disco. E cominciano anche gli arrangiamenti minimal, poco invadenti, a lasciare molto spazio alla voce e alle parole.

“Besame mucho”, il grande classico di Consuelo Velasquez, diventa Baciami tanto e sfrutta un tappeto sonoro che fa pensare un po’ a certe operazioni del già citato Marc Ribot sui pezzi di Tom Waits, con evoluzioni di chitarre rumorose a sporcare lo sfondo.

Ma fin qui, tutto semplice: le cose si complicano con Ciao mare, firmata da Raoul Casadei e diventata una hit (si può dire trash?) delle balere di Romagna e di tutto il mondo. Ma quella di Mariani è un’operazione di recupero, come se fosse andato a disincagliare il Titanic dall’iceberg. Nelle sue mani diventa una piccola e tenera poesia di provincia, senza essere provinciale.

Più articolata ancora l’operazione di riscoperta de Il tango delle capinere, già classico di Consolini, Tajoli, Nilla Pizzi, Claudio Villa e perfino Fred Buscaglione: la storia del “bandolero stanco” che laggiù nell’Arizona troverà l’amor subisce un lifting piuttosto radicale, è destrutturata e scomposta in tre parti distinte, che danno vita a panorami diversi.

C’è poi Sassi, dell’attuale presidente Siae Gino Paoli (quindi occhio alle royalties) , una delle maggiormente “modernizzate”, con un interessante ancorché breve assolo di chitarra, ma anche con archi assolutamente in tema con il periodo.

Altro pezzo scivoloso è Romagna mia, di Secondo Casadei (zio di Raoul e fondatore del liscio romagnolo) qui proposto a livello di assaggio o poco più, con un sottofondo sostanzialmente noise. Mariani traduce poi il testo classico messicano La paloma azul, rendendola questa volta senza eccessive avventure sonore.

E si prosegue: Io vorrei non vorrei ma se vuoi non è il pezzo più popolare (ma nemmeno il più oscuro) firmato da Mogol/Battisti. La rilettura in questo caso non è molto minimal, anzi è probabilmente il pezzo più ritmato e ricco del disco, oltre che il più “giovane” come concezione e arrangiamento.

La Locomotiva di Mariani approda poi all’ultima stazione, che è la meravigliosa Io che amo solo te, ancora di Endrigo, in una versione molto intensa e delicata, con accenni morriconiani nell’introduzione e alla fine.

Si diceva all’inizio: poteva essere un’operazione tutto sommato semplice e comoda (quanti l’hanno fatto prima, soprattutto se in carenza di idee?) e invece Mariani l’ha trasformata in una corsa sul filo dell’equilibrista, sempre attento a non mettere un piede in fallo né a rilassarsi.

Quando si riceve un’eredità, si raccoglie ciò che arriva: ci saranno anche cose che non ci piacciono o non ci appartengono in maniera esagerata, ma si può anche capire come possa essere nostro compito prenderle e trasmetterle a chi verrà dopo. Forse c’è anche questo alla base della scelta delle cover di Shaloma Locomotiva, un treno del passato che corre verso il futuro.

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