Wanji significa “uno” nella lingua dei Sioux Lakota ed è questo il titolo scelto dai Funnets per il loro nuovo disco che rappresenta il primo capitolo di un’opera più grande e molto ambiziosa, intitolata Muhalifu.
Il disco, il secondo della band, si bagna in acque rock-funk e affronta la sfida del concept album, tra suggestioni sciamaniche e un suono per lo più concreto, anche se soggetto a molte variazioni sul percorso.
Funnets traccia per traccia
Shamans Song apre il disco su sensazioni vagamente tribali che si mescolano però con idee rock robuste e dirette. Apertura di basso slappato e parossismo sonoro improvviso in F.O.W., evidentemente calata in atmosfere hardcore, anche se con cambi di rotta improvvisi.
Doubtful Waves assomiglia a una ballad, che tuttavia avanza per ondate successive e affronta cambi di ritmo e momenti differenti, affrescandosi come brano di una certa profondità.
Rumori e sforzi caratterizzano un intermezzo teatrale e recitato a due voce, Shiny Monkey. Si torna a suona con Green Pig, ricca di effetti e di echi e disperatamente nostalgica degli anni Novanta. Anche in questo caso, comunque, non mancano doppi fondi nella struttura della canzone.
Si torna a un funk/hardcore con Capital Affair, cesellato in modo da seguire umori diversi e altalene sonore, sempre con una certa veemenza.
Più diretta Shamarro, anch’essa in territorio funk-rock. Byzantine, come promette il titolo, si diffonde in percorsi che prevedono svolte improvvise, sorprese, assoli di chitarra, influenze progressive e molto altro.
Chiusura ancora in tema funky con Ornitophobia, finale particolarmente scatenato di un disco che certo non si tira indietro quando c’è da picchiare forte.
I Funnets pubblicano un disco a molti strati, con tendenze barocche ma anche con grandissima energia, notevole abilità e una certa ispirazione, che risulta efficace e molto fantasioso.


Pazzeschi!
se tutto il disco è all’altezza del singolo F.O.W. sulle loro pagine, servono rifugi antiatomici. Bombissime!