Alberto Molon, “Hanno ragione tutti”: la recensione

molonHanno ragione tutti è il terzo album da solista del cantautore veneto Alberto Molon, avvocato, classe 1977. Il disco, autoprodotto, è stato arrangiato da Martino Cuman (Non voglio che Clara), che aveva già lavorato con Molon nei suoi precedenti album; una collaborazione lenta e proficua, che ha impreziosito  i brani che lo compongono, vestendoli di nuove sfumature, e una registrazione veloce e stancante, di appena cinque giorni in studio, che ha contribuito a renderlo il più fluido e naturale possibile.

Alberto Molon traccia per traccia

Miti dell’adolescenza, chitarre elettriche e Irlanda stesa tra la terra e il cielo sono gli ingredienti della prima traccia, Avrei voluto essere The Edge. La storia di un mancato incontro con David Evans, storico chitarrista degli U2 che ha regalato all’autore il sogno della musica durante la gioventù, a cui è rivolta una canzone celebrazione, non solo per il testo, ma anche per i riff di chitarra perfettamente nel suo stile.

Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere. E Hanno ragione tutti. Il teatrino del corteggiamento, delle false aspettative, delle frequentazioni ambigue. Un pezzo scanzonato, allegro nei suoni e ironico nel testo, nato di getto, quando il disco era praticamente pronto, cantato in un modo, che il buon Vasco Rossi degli albori avrebbe apprezzato. Si scende poi, sottovoce, a Dove sei, una ballata guidata da una chitarra e da un pianoforte, in un’atmosfera quasi sognante, che parla di assenze, di mancanze, di distanze, nello specifico di una madre recentemente scomparsa, in assoluto da tutto quello che mi manca.

Il brano successivo, Come posso stare senza te, si riveste di allegria. Una storia d’amore, una convivenza che inizia e travolge, stravolgendo, le abitudini, fino a rendere fondamentale l’altra persona. Il drumming di batteria che si mescola al profumo del caffè ha qualcosa di beatlesiana memoria.

Meglio un taglio che niente, ovvero: provaci, sbaglia, punta tutto. Un climax ascendente di suoni, che parte scarno, cantato con voce greve, si lascia andare sul ritornello, e poi ricomincia ad acquisire intensità, con un coro che diventa un urlo liberatorio. Dopo aver preso consapevolezza, dopo aver provato ad urlare stando sul fondo del mare, dopo un assolo vigoroso, di nuovo il ritornello che, stavolta, decide di spogliarsi, fino a rimanere solo voce.

Gigi Rizzi ha ispirato La storia di un film, la colonna sonora di un’estate cinematografica, di un amore a Saint Tropez, che fa pensare a lunghe passeggiate in riva al mare, a viaggi in macchina con il vento tra i capelli, in una atmosfera da commedia all’italiana.

Dalla Costa Azzurra si torna all’Irlanda, con E forse. Il brano, musicalmente, ricorda maggiormente le atmosfere U2  tanto care a Molon, quelle di un pop-rock morbido che accarezza gli strumenti, dalle chitarre al piano, e accarezza le domande sull’incapacità di comunicare, dagli albori dell’umanità a oggi.

Ancora interrogativi e antitesi costanti per Il mio vicino di casa, che, con riff di chitarra dal sapore orientale, riesce a rendere piacevole una riflessione acuta sulla vera utilità dell’apparenza nel nostro quotidiano.

Il meglio deve ancora venire, o forse ce lo siamo già lasciati alle spalle? Chi ti dice che non si può ritorna a omaggiare Vasco, con una ballata romantica e disincantata sulle possibilità, con una chitarra nostalgica che diventa protagonista sul finale. Alla fine tutto resta cambia in corsa, con un’intro lenta, un ritornello che è forse il più orecchiabile dell’intero disco e un testo che non lascia scampo: sei responsabile delle tue azioni, e prima o poi dovrai farci i conti.

Siamo alla fine, e il compito di chiudere è affidato a Non tornerò più, intima e personale, dove i ricordi di un passato, lontano geograficamente ma vicino sulla pelle, lasciano la sensazione di nostalgia evolutiva.

Hanno ragione tutti è un album sulle cose della vita di ogni giorno, sulla palude che è il mondo, da cui ha pescato a mani nude, ottenendo undici tracce di quasi pop, ironico a volte, più intimista e serio altre, con qualche parentesi di rock ballad e cantautorato anni ’70; un album lontano dall’indie, lontano dal mainstream, vicino al quotidiano, in cui riconoscersi e ritrovarsi.

Chiara Orsetti

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