TRAKS come al solito ti riserva cinque recensioni in breve, per portare alla tua attenzione dischi che potrebbero esserti sfuggiti.
Riccardo Gileno, The Curse ep
Non contento di suonare in due band differenti, Riccardo Gileno si propone anche in veste cantautorale. I punti di riferimento sono Jeff Buckley, Bon Iver, Nick Drake, mentre l’obiettivo del nuovo ep, The Curse, è quello di usare la musica come un’autoterapia. Si parte da Theory, una marcia morbida e acustica, in cui emergono soprattutto le qualità del cantato. Morbidezze simili, ma sentimenti che si spingono in direzioni dream pop con la seguente How? Piuttosto appuntita Days, che ricorre all’elencazione per spingersi un po’ più a fondo. Si chiude sul morbido con Friend/Enemy, in cui è chiarissimo il pattern che conduce da Damian Rice a qui. La terapia funziona: Riccardo Gileno confeziona quattro piccole gemme acustiche mostrando capacità e talento in abbondanza.
Mirco Menna, Il senno del pop
Finalista al Premio Tenco, attore e autore teatrale e cinematografico, compositore di successi musicali e sigle radiofoniche, Mirco Menna, già frontman de Il Parto delle Nuvole Pesanti, propone un disco poliedrico dal titolo Il senno del pop. Si parte da Portati da un fulmine, con ironia e qualche sensazione misto-caraibica. Si lavora di archi e intensità con Arriverai, capace però anche di cambiare pelle in corsa. Così passiamo, con Silvia Donati, decide per strade elettriche e vibranti, ma non per questo slegate da radici latin-mediterranee. Qualche trama più dolorosa si mostra in Sole nascente, a fianco di Gianni Coscia.
Molta ironia riempie le liriche de Il descaffalatore, con un po’ di Conte, un po’ di Gaber e un po’ di Jannacci sullo sfondo. Atmosfera del tutto diversa, molto più intima e malinconica (da Gaber a Endrigo, si direbbe) con Ora che vai via, con una tromba con sordina particolarmente drammatica. Un po’ di rock, anche se sempre con risonanze latine, è quello di Prima che sia troppo tardi, in cui Menna duetta con Zibba. La title track Il senno del pop assomma ironia e disinvoltura, tra problemi di traffico e ritardi e proclamazioni improbabili. Si chiude con una rendizione dal vivo di Da qui a domani, e con la cover, guardacaso, di Gaber di Chiedo scusa se parlo di Maria. Disco molto ben riuscito, interessante e completo, quello con cui Menna si ripropone. Non c’era bisogno di un disco nuovo per conoscerne il talento, ma constatare che i livelli di ispirazione siano sempre a livelli molto alti rassicura e fa piacere.
Novalisi, Quando mi chiedono dove sei
Quando mi chiedono dove sei è il terzo disco dei Novalisi, anticipato dal video di Taxi. Ep concepito interamente in sala prove, registrato con un Ipad e un Iphone, contiene cinque pezzi che raccontano in prima persona una storia vera di separazione coniugale. Si parte proprio in Taxi, vestita di alternative rock veloce e dalle tinte fredde. Malinconia e storie difficili accompagnano anche l’aspra Torno da me, che alterna momenti duri e attimi di attesa. Malinconia ed esiti corali urlati in Volta Stomaco, probabilmente il pezzo più amaro dell’ep. Drumming cadenzato e martellante in Gara, ancora esplosiva. Si chiude con Lieto Fine, per niente lieta, ancora piena di elettricità e di rivendicazioni. I Novalisi rappresentano la sconfitta personale con dosi di astio e scoraggiamento distribuite in modo eclettico fra generi consimili. Il risultato è molto amaro e molto elettrico, ma anche piuttosto riuscito dal punto di vista musicale.
Pagina Facebook
Parco Lambro, Parco Lambro
Nati nel 2014 a Bologna (con la curiosa contraddizione di scegliere il nome di un parco milanese) i Parco Lambro sono una band che rivendica la discendenza da band nobilissime come Area e Soft Machine, anche se nel corso del tempo il loro sound ha incorporato elementi molto diversi. Il nuovo disco è ominimo e contiene cinque tracce, spesso lunghe suite da oltre dieci minuti: si parte da #5 (evidentemente le contraddizioni non spaventano la band), apertura tempestosa con fiati “orientali” che si colloca fra jazz e prog e che può far pensare ai King Crimson, con parti molto acide di chitarra e roboanti interventi di batteria.
Più tranquilla, almeno sulle prime, Nord, altro strumentale che parte da piccoli giri di chitarra per sviluppare movimenti sempre più tortuosi. La seguente Not for you procede su binari simili, ma finendo con l’avvitarsi attorno a idee sempre più potenti e aggressive, con qualche eco zappiana qui e là. Una meritata pausa giunge con i primi passi di Notturno, ma in modo ancora crimsoniano (o in stile Bolero di Ravel) si procede a spirale fino a esiti molto rumorosi e anche a un cantato imprevisto. La conclusiva Ibis apre con dissonanze e rumoristica assortita, che poi si inacidiscono prima di prendere strade notturne, con vasti interventi delle tastiere. “Vittime” della fascinazione del jazz e del grande rock degli anni Settanta, i Parco Lambro riescono però a imprimere alla propria musica notevoli spin vitali, ottenendo risultati molto magmatici ma anche molto rilevanti.
Damianals, What the fuck are we talking about?
Al contrario dei Ramones, che usarono lo stesso cognome d’arte in segno di fratellanza, i Damianals scelgono il nome del gruppo a partire dai propri nomi di nascita: Damiano alla batteria, Damiano alla chitarra e voce, Damiano al basso e voce, tutti e tre da Castel Goffredo (MN). Chissà che bellezza quando qualcuno chiama: “Damiano!” in sala prove. L’ep pubblicato dalla band, What the fuck are we talking about?, è a tutti gli effetti un concept album ambientato nel pub frequentato dalla band. Il primo dei quattro brani è Spirit of Youth, punk più nello spirito che nei modi, con sonorità quasi da rockabilly accelerato. Si prosegue con Guinness vs. Tennents, derby di birre delle isole britanniche qui rappresentata da un rock blues elettrico piuttosto robusto. A seguire Play Guitar, rapida e stralunata, tra punk e grunge, ma sempre con le chitarrone sullo sfondo. L’ep si chiude con A Simple Education, che gioca con i ritmi e varia il terreno con qualche piccola invenzione. La band dimostra un buono spirito con questo ep, che si materializza in quattro composizioni originali per concezione ed esecuzione, con uno stile già piuttosto riconoscibile.