Bruno Bavota, “Out of the Blue”: la recensione

Bruno BavotaUscirà il 30 settembre il nuovo disco di Bruno Bavota, Out of the Blue. Il pianista napoletano, già premiato dal successo grazie al suo Mediterraneo, sarà pubblicato dall’etichetta americana Sono Luminous, in Italia distribuita da Ducale.

Bruno Bavota traccia per traccia

Out of the blue, la title track, introduce il discorso in modo del tutto morbido, facendo scattare immediati paragoni con Einaudi e musicisti prossimi. Il pezzo però si anima quasi subito e si trasforma in tempesta, consentendo agli archi di entrare a fendere uno strato di veemenza che si è già creato.

Mountains gira a loop sulle prime note, ma amplifica il segnale tentando di costruire qualcosa di più vicino a un soundscape. Marea si presenta più malinconica. Bavota non si nasconde e fa sì che l’atmosfera dei propri brani sia ben chiara con dalle prime quattro note di ogni pezzo.

Tutt’altro discorso, rispetto al piano solo di Marea, lo offre Heartbeat, che parte di percussioni e aggiunge la chitarra acustica a quella che si configura come una canzone pop sognante a tutto tondo. Poi entra anche il pianoforte, ma sembra lì soprattutto per aiutare.

Al contrario, in Mr. Rail riprende la propria centralità, seppur supportato dagli altri elementi. Passengers si incunea in discorsi notturni, più morbidi che aspri, ma con accenni cospicui di tristezza che qui e là si erge a lamento. Il brano parte minimal e finisce massimalista, a piena orchestra e pieno fiato.

Lovers apre con un giro semplice, che piano piano si allarga fino a celebrare una sorta di sonata in minore, molto ricca di rimpianto. Beyond the clouds rispetta il titolo che fa pensare ad Antonioni mescolando tristezze e sogni. La chitarra torna a riscaldare il percorso con Warm embrace. Quando intervengono i tasti neri e bianchi spingono il pezzo in direzioni quasi psichedeliche.

Dusk in the East gioca con le armonie e con equilibri fragili. Horizons si conforma su piccoli gruppi di note che suggeriscono trame insistenti. Breath (qui il titolo è floydiano) al contrario stacca le note con pause importanti, insinuando soltanto in un secondo tempo il discorso melodico. Il disco si chiude sulle insistenze di Snow.

Lp di spessore e molto consistente, quello di Bruno Bavota. Da notare anche la capacità di variare orizzonti e di costruire panorami sonori magari non sempre sorprendenti ma spesso molto interessanti.

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