Niccolò Lavelli, in arte Calvino, ha una storia musicale già piuttosto fitta. Ma gli inizi, come gli esami, non finiscono mai: Gli Elefanti è il suo primo album “intero” sotto il nome Calvino. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il cantautore.
Benché tu abbia alle spalle già numerose esperienze come cantautore, questo sembra, a tutti gli effetti, un nuovo inizio. Come lo hai affrontato?
Devo dire la verità, con molta ansia. Il primo disco mi sembrava un passo importante. I mesi di preparazione fino all’uscita sono stati molto impegnativi e ora tutto lo sforzo e la preoccupazione stanno trovando sfogo nei live e nella felicità di aver finalmente portato a termine questo disco e di potermelo godere mentre muove i primi passi.
Chi sono “Gli Elefanti” del disco e del brano?
Gli elefanti sono l’incarnazione di diversi significati che percorrono il disco per tanti motivi e caratteristiche diverse. Una di queste è la loro pesantezza che nel brano si trasforma nel proprio opposto ovvero la leggerezza. Così mi sono ritrovato a scoprire questo modo di affrontare le cose più pesanti e difficili rendendole esattamente il loro opposto, ovvero degli scherzi di poco conto, dei dettagli.
Gli elefanti diventano capaci di fare acrobazie mortali, di tingersi di colori vivaci, di diventare quasi dei personaggi spettrali nell’ambiente urbano. Questo è un altro capovolgimento, un animale esotico che trova il suo habitat nella periferia milanese. Il brano ha questo meccanismo, il gioco degli opposti, nel quale fortunatamente si riesce a perdere l’orientamento e a non farsi più trovare dalle preoccupazioni che ci circondavano.
Questo è un esempio, ci sono altri significati, gli elefanti come titolo del disco rimandano a un voler uscire e far casino anche se la propria forma o i propri movimenti possono essere goffi e maldestri, come linea comune del disco invece rimandano a una rivisitazione dell’infanzia che caratterizza tutti i brani. Ve ne sono molti ed è difficile sintetizzarli tutti, per questo abbiamo scelto un simbolo.
Che distanza c’è tra la tua “Milano Est” e quella di oggi, Expo e tutto? Non è un po’ innaturale provare nostalgie per una città da girare in Graziella, visto che Milano è per definizione dinamica, sempre in movimento e bla bla bla?
La Milano di Milano est non è certo quella di oggi e non è legata a un’immagine di Milano “per definizione” quanto più a un luogo in cui ho vissuto e in cui sono cresciuto. Non ha niente a che vedere con la rappresentazione della città vista da fuori e non vuole nemmeno essere un ritratto fedele.
Milano, e in particolare la sua periferia est, percorre tutti i brani ed è stato per me fondamentale descrivere l’ambiente in cui queste storie si muovono. Detto questo è vero che si rifà a un’immagine nostalgica, e si sa che la nostalgia distorce i ricordi. La Milano del brano probabilmente non è mai esistita e non è quella “reale” ma d’altra parte l’intero disco ha un rapporto difficile con il concetto di realtà.
Perché hai scelto di suonare il disco interamente con strumenti vintage?
Non è stata una scelta fredda fatta a tavolino. Il disco, come l’intero progetto Calvino, nasce e si sviluppa in stretta collaborazione con il Blend Noise Studio, da cui poi è nata l’etichetta Dischi Mancini che ha pubblicato il disco.
Questo luogo ha delle sue caratteristiche e dei suoni particolari, la strumentazione è particolarmente legata all’analogico e le sonorità che ci siamo trovati a esplorare fin dall’ep sono quelle di strumenti come il Rhodes o il Wurlitzer, solo per citarne alcuni. E’ stato naturale, il disco è nato da questo luogo e ne ha preso le caratteristiche.
Nel tuo disco si trovano canzoni di impronta molto “classica” (penso alla stessa “Milano Est”) e altri brani che al contrario viaggiano dritti verso noise e psichedelia. Vorrei sapere se hai dei capisaldi musicali tra i tuoi ascolti (e quali sono, ovviamente) e se hai un metodo compositivo standard oppure se ogni canzone ha un modo di nascita differente.
Assolutamente ogni canzone ha un percorso di formazione suo, non sono abituato a un metodo, spesso quello che si affaccia per primo è un concetto, a volte molto indefinito, accompagnato sempre da un particolare modo di sentire che nelle fasi iniziali è poco chiaro e a volte abbastanza disturbante, sul quale poi mi accanisco partendo a volte dalla parte del testo, a volte dalla melodia della voce, a volte dalle parti strumentali.
A dir la verità non sono io che decido, si svolge tutto secondo delle direzioni che sembrano casuali. A volte la strada è quella giusta, a volte no. Di capisaldi per la registrazione del disco ce ne sono stati parecchi, non necessariamente degli esempi da seguire ma più degli spunti o semplicemente quello che avevamo nelle orecchie quando non registravamo: su tutti, nel periodo delle registrazioni, mi vengono da citare gli Wilco e i Pink Floyd.