Carmelo Amenta, “L’arte dell’autodistruzione”: la recensione

carmelo amenta

L’arte dell’autodistruzione è il quarto album di Carmelo Amenta: dieci “storie d’amore ammaccate” e una cover, in versione garage, dei CCCP. Le atmosfere dark wave che contraddistinguono il disco fanno da colonna sonora a lettere non spedite e considerazioni mai compiaciute né retoriche. È una sorta di riflessione amara ed ironica sulla fine di una storia d’amore.

Carmelo Amenta traccia per traccia

Segnata da un drumming potente, Il tempo di andare apre il disco con un umore evidentemente cupo e con molta elettricità che rimane però quasi sempre sotto traccia.

Si prosegue con Come quando fuori piove, riferimento alle carte da gioco che presto sviluppa atmosfere molto oscure e inquiete, con ritmi alternati e improvvise accelerazioni.

Rallenta un po’ il ritmo Cigolano tutte le porte, che comunque non rasserena l’umore, anzi disserta a proposito delle difficoltà di comunicazione. Si torna a ritmi più alti con Ho messo da parte del tempo da perdere, mentre L’uomo delle caramelle procede a ritmi più lenti per avere la possibilità di aprire le porte a un rancore elettrico e profondo.

Considerazioni di ordine tricologico e grande senso di desolazione costellano I tuoi capelli lisci sono diventati ricci, canzone d’isolamento e di loop. Si sceglie un registro estremamente soft all’inizio de L’ultima volta che ti ho guardata dormire, che sale di colpi nel finale.

L’arte dell’autodistruzione, la title track, arriva con un cumulo di sensazioni e di ritmi in grande mescolanza, come a voler confondere, e confondersi, le idee. Altre rimanenze di una relazione spezzata finiscono in una sorta di elenco doloroso in Nessuna traccia.

Le stesse immagini prosegue il discorso alzando muri elettrici, prima che la cover di Tu menti dei CCCP finisca il lavoro: scelta curiosa quella di chiudere un disco così personale con una canzone altrui, ma Amenta personalizza la canzone abbastanza da renderla omogenea con il discorso.

Un disco doloroso e importante, quello di Carmelo Amenta, che condensa le proprie sofferenze intime aprendosi a livello di testi mentre nel contempo le sonorità si fanno ostili, oscure, a volte respingenti.

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