Storia curiosa, quella di Siberia, primo e clamoroso disco dei Diaframma, che sembra non concludersi mai. Uscito nel 1984, conteneva otto pezzi (quattro per facciata) e tirava un sasso nello stagno della new wave italiana e fiorentina in particolare. La band si collocava nella scia del post punk inglese (Joy Division in particolare), al pari di band come i primi Litfiba.
Il disco, scritto da Federico Fiumani, vedeva all’epoca una formazione con i fratelli Cicchi come sezione ritmica e Miro Sassolini alla voce. Ma la storia del disco era tutt’altro che conclusa: ne uscì una versione allargata a dieci canzoni nel 1992, una da undici canzoni più quattro live nel 2001, allargata poi a 18 con tre strumentali nel 2006. La ristampa del 2013 sembrava voler rimettere le cose a posto, con gli otto pezzi dell’originale nel primo disco e un live da undici nel secondo. Ma in realtà oggi si ricomincia quasi da capo.
Quella appena uscita infatti non è semplicemente una ristampa: Federico Fiumani riprende in mano, con l’aiuto dei membri più recenti della band e di Gianni Maroccolo, il mostro sacro. Qui il discorso si spinge fino a una reincisione, con Fiumani che si cimenta stavolta anche con la voce, forte dell’esperienza maturata negli anni.
E aggiunge una serie di intermezzi strumentali firmati da Maroccolo tra un pezzo e l’altro, e anche sei pezzi scritti appositamente, prendendo spunto da poesie scritte dallo stesso Fiumani. Per un totale di un disco “nuovo” da ventuno brani, che cerca di ricollocare i Diaframma al centro della scena indipendente non soltanto passata ma anche presente.
Diaframma traccia per traccia
Il disco si apre con la title track Siberia, che riporta subito a un sound che non suona datato, casomai granitico è difficile da scalfire anche con il tempo. Brevilinea 17 inizia la serie delle interruzioni strumentali, con un passaggio elettrico e inquieto. Neogrigio è pura new wave, con il suo attacco aggressivo e la malinconia del riff. Il basso, il testo e l’umore generale sottolineano le qualità da pietra angolare del pezzo.
Dopo la minimal Brevilinea 80, ecco Impronte, passo medio e procedimento a ondate, con la voce che si erge a protagonista. Brevilinea 83 continua la storia degli strumentali d’intermezzo, questa volta con evidenti tracce di ansia. L’epocale Amsterdam entra poi con la sua carica di energia elettrica e tutte le malinconie, rimaste intatte nel corso degli anni.
Si prosegue con Delorenzo, altro brano cardine del disco, in cui chitarra e basso costruiscono un tappeto sonoro che porta inciso il marchio del post punk. Suoni pesanti contrassegnano lo strumentale Notti che ritornano, che ha un sottofondo industrial. Memoria si erge poi, ritta su colline di suono, con la chitarra che torna a sfoggiare suoni disinti. Segue l’intermezzo Brevilinea Umbe’.
Specchi d’acqua porta alla luce qualche somiglianza con i primissimi Litfiba, quelli di 17 re in particolare, ma anche con i primissimi Cure, quelli di Killing an Arab. Altro strumentale è Brevilinea alcolica, che lascia spazio alla veemente e nichilista Desiderio del nulla. Dopo Notti che non ritornano, l’ultimo strumentale, ha inizio la sezione “nuova” con Same. Pezzo piuttosto mosso, il pezzo prosegue sulle stesse sonorità dell’originale ma con qualche apertura in più.
La lunga Envecelado approfondisce concetti di chitarra, risuona spaesata e più cantautorale. Niente si approccia con fare incerto, tra rock e pop, con accordi semplici. Qualcosa di Battiato e qualcosa di epico si legge all’interno di Non morire, con un testo figlio di incubi e un cantato piuttosto libero e urlato. Sorprendente invece l’allegria di fondo di Lanterna cieca. Si chiude con Taranto 1982, ballad cantautorale di una certa intensità.
Difficile giudicare un disco che cambia di continuo, anche perché ogni volta ci si trova di fronte una faccia leggermente diversa. O meglio: inutile offrire un nuovo giudizio su Siberia, visto che si è raggiunto un accordo complessivo nel considerarlo un capolavoro. Così resta da giudicare l’operazione “reloaded” nel suo complesso: anche reinciso, il disco non sembra essere poi così lontano nel tempo. La voce di Fiumani è sicura e convinta, gli incisi di Maroccolo si sposano bene con il tessuto del disco.
Qualche perplessità in più la aggiungono gli inediti finali, che faticano un po’ a tenere il passo e soprattutto nei quali si avverte un diverso grado di tensione. Ma nel complesso l’operazione di rilancio dei Diaframma sembra riuscita.