Il disco d’esordio, autoprodotto, della band bergamasca Ella Goda, formata da Brian Zaninoni, Sebastiano Pezzoli e Marco Towers porta lo stesso nome del gruppo. Insieme dal 2015, in quasi quattro anni di lavoro sonoro hanno sperimentato sensazioni, sovrapposto influenze, mescolato stili, attingendo dal cantautorato italiano e dal rock di tradizione inglese e americana per trovare la propria, personale dimensione all’interno del panorama musicale attuale.
Ritmi incalzanti lasciano spazio a tracce semiacustiche, passaggi folk sono intervallati da elementi post punk, in una varietà di atmosfere che risulta comunque ben amalgamata, nonostante i suoi contrasti, dalla prima all’ultima traccia. Uno stile riconoscibile anche nel cantato, a volte armonioso, altre con delle punte più spigolose, che contribuisce a dare un senso di continuità a quanto portato avanti musicalmente dal gruppo.
Ella Goda traccia per traccia
L’attacco della prima traccia, La cura Schopenauer, cattura subito per il suo ritmo incalzante, in cui la band si lascia andare su atmosfere scure e si presenta nel modo più intenso possibile. Il titolo è un tributo al romanzo omonimo dello psichiatra Irvin Yalom, che analizzando l’opera del filosofo tedesco ha cercato di comprendere e curare i disturbi comportamentali. Grandi interrogativi intervallano chitarre nervose, “Chi non ci perdonerà uno sbaglio? Chi ci farà star meglio?”, una sorta di analisi all’interno dell’analisi, il cambiamento che viene dall’interno, dal potere della parola, e magari anche della musica.
La mia eredità è una storia di legami. Se buon sangue non mente, quello di un nonno musicista scorre nelle vene del nipote insieme a Kerouac, alle note di una chitarra e i ricordi di una nuova vita già vissuta; il ritmo rimane sostenuto, per ammorbidirsi in Qualcosa di astratto, sulla scia di un pianoforte che fa da sottofondo a un amore immaginario, al desiderio fugace di conoscere una ragazza osservata da lontano. Il pezzo si scalda in corsa, in un crescendo, passando dal torpore dell’indifferenza all’emozione che fa scuotere il giorno.
È poi la volta di Quattro anni, nostalgico presente di un passato in periferia, in cui il tempo scorre mantenendo tutto come lo avevamo lasciato andando via. Uomo e cosa è una poesia di Marco Ardemagni, dedicata a una delle tragedie che hanno coinvolto un barcone nel Mar Mediterraneo. Rendere musicale un dolore simile non è semplice, ma il gruppo è riuscito nel difficile compito, trasformando le note del pianoforte in onde che cullano corpi senza vita, e le chitarre elettriche in fiamme ardenti di una coperta accesa per attirare l’attenzione di un’altra imbarcazione.
L’aria ritorna respirabile con Che cosa rischiamo, o, quantomeno, cerca di muoversi in una dimensione più familiare, quella della vita di coppia. Come posso pretendere senza dare altrettanto? Come posso pensare di avere sincerità e rispetto se non sono io stesso a garantirlo in prima persona? Queste sono le domande che aleggiano, nel riverbero di chitarre che tenta di rendere più sopportabile la presa di coscienza.
Canzone Apotropaica e il suo buonumore intrinseco fa venire voglia di non perdere la speranza, di accettare gli sbagli e farne tesoro per il futuro; una canzone in cui un nodo in gola viene portato con disinvoltura, in cui si da un taglio al pensiero negativo e si va alla deriva verso suoni scanzonati e motivi giocosi.
Si ritorna presto alla potenza delle chitarre in Solo il silenzio, anche se su base ritmica meno veloce rispetto alle tracce precedenti, in un tentativo di privazione, di suoni e di intenti: la rabbia lascia il posto alla rassegnazione, le parole lasciano spazio ai silenzi carichi di significati sottintesi. Le attese bruciano conduce verso la fine dell’album, una breve traccia in cui il riverbero usato per modificare la voce di Brian Zaninoni diventa uno strumento aggiuntivo, contribuendo al movimento scomposto che porterà al momento in cui nulla sarà più come prima.
Sempre sulla scia della riflessione lucida, è la volta di Anni luce da te, il momento in cui ci si rende conto che le distanze sono diventate incolmabili e che è meglio lasciar andare, che inseguire ostinatamente ciò che non potrà mai essere raggiunto. La chiusura strumentale del pezzo lascia lentamente fluire i pensieri e le riflessioni che gli Ella Goda hanno saputo innescare e portare avanti, perché riconducibili al nostro quotidiano sentire. Dieci tracce di pop cantautorale che riescono a risultare, dal primo ascolto, vicine e comprensibili, perché costruite con pazienza e consapevolezza, mettendo ordine nel caos da cui sono state generate.
Chiara Orsetti