Cerchi è il nuovo album di Erica Mou, settimo della sua discografia. Composto da undici tracce, l’album descrive un cammino di crescita e scoperta, che inciampa nella circolarità del tempo, un cerchio che non si chiude mai completamente ma in cui eventi e relazioni si ripresentano simili trovandoci diversi, in una profonda riconciliazione con sé stessi.
I brani sono nati tutti durante una residenza artistica al Teatro Petrella di Longiano (FC), in collaborazione con Molla e Flavia Massimo, due musicisti che da tempo accompagnano il percorso artistico di Erica.
La prima e l’ultima canzone si tendono le mani a descrivere un cerchio. Nel mezzo, il desiderio di fare la muta, una partita a scacchi tra amore e coerenza, una promessa di cura, l’inganno dei trent’anni, tornare a vivere nel posto da cui si era fuggiti, la confusione di una festa di paese, una fede laica, una migrazione che non segue il caldo, parole che si incagliano. Ogni brano è un anello, una maglia di una collana. Si torna da dove si è partiti ritrovandosi diversi, tenendosi stretta la voce che conserva le tracce del percorso fatto. Le sonorità seguono lo stesso indirizzo dei testi, registrate in una dimensione live, quasi come se si potesse fotografare il momento della nascita delle canzoni, trattenendone la verità
Erica Mou traccia per traccia
Non ha problemi nell’esporsi fin dall’apertura del disco Erica: Madre è il brano che apre l’album e assomiglia a una confidenza a cuore aperto, morbida e gentile. L’evidente dolore della perdita sono attutiti da suoni che accarezzano.
Un po’ più nervosa Mani d’ortica, che parla di promesse e migrazioni, tra abbracci e ferite. Si torna integralmente sul morbido invece con Sedimenti, che imposta giri di chitarra e giochi di parole in modo continuo, a filare un tessuto robusto su cui il brano si stende senza paura.
Ecco La festa del santo, che racconta in dolceamaro una celebrazione di paese che si muove tra rumore, amore e giochi di piazza, tutto in salsa di folk europeo, quasi balcanico.
Più aggressiva (relativamente) ma altrettanto narrativa Complici, che ha un andamento a salire, sorretto anche da cori finali, con una completezza che è tipica di un certo pop curato nei dettagli.
Molto ragionata e sentimentale l’aria che si respira in Parlare coi cani, che parla di silenzi e di cose non dette, sorretta dal movimento degli archi. Storie di un addio anche ne L’alfiere, che parla di scacchi e di errori, importando un sapore un po’ mediterraneo nei suoni.
Chitarra classica abbastanza insistita nelle prime battute di Genesi, che parla di creazioni reciproche e di quesiti esistenziali. Questioni di protezione quelle affrontate in Piccola vita, che spazia a livello sonoro, disegnando orizzonti più vasti.
Intensi e frequenti i battiti di Muta, che lavora su qualche contrasto armonico, accelerando il ritmo nella parte finale, quasi ossessiva. Al contrario, il brano di congedo è Canzone per la me che sono stata, che si ricollega all’incipit di Madre, inventandosi quasi una ninna nanna particolarmente morbida.
E’ evidente la crescita, nella scrittura e nell’interpretazione, da parte di Erica Mou, che progressivamente sta concretizzando una carriera molto significativa da cantautrice che ha sempre più cose da dire e raccontare. E’ quel tipo di percorso che aggiunge elementi interessanti, anziché perderli, accanto a una consapevolezza crescente, canzone dopo canzone.
Genere musicale: cantautrice
Se ti piace Erica Mou ascolta anche: Ceneri
Iscriviti subito al canale Telegram di TRAKS