Our Souls at Night è il nuovo album di remix dei Flares on Film, realtà della scena elettronica pugliese in equilibrio tra melodie pop e atmosfere da film di fantascienza anni ’80. Il nuovo lavoro vanta collaborazioni importanti come quella con Glanko e A Copy For Collapse, ed è nato contemporaneamente all’originale Naive Songs. TRAKS ti regala il download esclusivo di una delle tracce più significative dell’album, Anesthesia, sia in originale sia remixata da A Copy For Collapse.
Cominciamo con il presentare i Flares on Film a chi ancora non vi conosce: come nasce il progetto e come siete arrivati fin qui?
I Flares, posso affermare oggi, hanno una storia travagliata. L’esordio del progetto prende vita dalle ceneri degli Eva che nel 2012 posero fine alle loro attività musicali, dividendosi e disperdendosi in altri progetti.
Alla fine degli Eva, rimasi solo, sperduto, e proprio come in una relazione, non avevo troppa voglia di formare una nuova band sebbene mi mancasse l’atmosfera del gruppo. Mi presi un tempo di silenzio e continuai a giocare con delle bozze di alcuni brani che mi giravano per la testa.
Fin da quando ho iniziato a suonare, per fortuna, ho sempre registrato, prima su vari walkman messi a cascata per simulare un multitraccia, fino poi per approdare a software su computer odierni.
Così cominciavo a passare molte ore di fronte allo schermo e così non solo “suonavo”, ma entravo in una logica compositiva e musicale completamente diversa. Ho avuto l’esigenza di ampliare la gamma sonora introducendo l’uso dei sintetizzatori e mi sono cimentato anche nella scrittura delle parti ritmiche.
All’inizio erano appunti, sgranati e mal suonati, ma pian piano prendevano sempre più forma di canzoni plausibili. E devo ammettere che proprio i limiti strumentali sono stati la nota che caratterizza il progetto ancora oggi. Per esempio l’utilizzo di batterie esplicitamente elettroniche e dalla scrittura quadrata, la riduzione dello spazio delle chitarre, lo scrivere parti semplici e dirette, il tutto sfumato in quella accezione tecnica Lo-Fi che più che una scelta estetica è stata una scelta forzata e consapevole, considerando i limiti.
A oggi per esempio perpetuo l’idea della sottrazione e quando mi cimento nella scrittura di un album scelgo sempre prima cosa togliere e in cosa limitarlo/delimitarlo. Credo sia molto stimolante.
Nel corso di questi anni si sono susseguite una serie di persone per rendere il progetto suonabile dal vivo e alcuni loro hanno preso parte anche a qualche registrazione. Da sempre infatti, mi piacciono moltissimo gli album con le collaborazioni, contaminati da varie personalità e stili musicali.
“Our Souls at Night” è un disco di remix ma anche qualcosa di più: ci puoi spiegare il concept dell’operazione?
Our Souls At Night potremmo dire che nasce in contemporanea con Naive Songs. Nel periodo di produzione infatti, durante le lunghissime sessioni di ascolti, un amico, Glanko per intenderci, si sbilanciò moltissimo mostrandosi interessato a fare un remix, un re-edit di The Saddest Song. Non mi era mai successo prima di pensare a un eventuale remix e tantomeno alla possibilità di farne un album.
Ammetto che ho sempre mal visto questo tipo di operazioni. Per questo motivo infatti ho pensato proprio al concetto di Ri-Editazioni dei brani. Gli artisti che si sono prestati, hanno avuto i vari brani, tra l’altro scelti da loro, completamente nudi, aperti e ne hanno potuto fare quello che desideravano. Nessuno ha avuto indicazioni, limiti, o consigli.
Non è stato facile, ammetto, ascoltare le proprie parole “travisate” nei modi più diversi e lontani dal loro concetto di base, ma è stato un esercizio veramente interessante. È come lasciarsi vestire da qualcun altro. Sì, una sorta di travestimento del cuore dei brani.
Il progetto inizialmente avrebbe compreso anche altri brani inediti, i classici B-Sides, rimasti fuori da Naive Songs, ma mi sembrava una cosa da classica mega band alle prese del 20esimo album.
Il titolo copia e incolla un libro di Kent Haruf che a dirla tutta è il suo meno bello, ma “le nostre anime di notte” è una formula che racchiude benissimo il mio immaginario su questo album. Mi sono sempre immaginato infatti tutti i producer, gli artisti, gli amici che hanno preso parte all’album, lì nei loro studi, di notte, da soli, alle prese con la loro ispirazione, con le loro scelte.
È come un turno di notte, devi fare quello che devi fare, ma sei solo e la notte è molto lunga.
Vorrei qualche approfondimento anche riguardo al disco “gemello”, “Naive Souls”: su quali presupposti poggia?
Naive Songs è un disco di “canzoni ingenue”, un disco di amore, canzoni che raccontano storie un po’ di tutti che finiscono male, storie dove ci si separa, ma fondamentalmente non si capisce il perché. Perché in fondo pochissime persone, in quei momenti, ti dicono: “basta, non ti voglio”, “non ti amo”, “ho un altro”. Questo è un album dove l’amore ha un unico difetto, l’ingenuità, la speranza, l’innocenza delle cose semplici, come semplice dovrebbe essere l’amore, ma che non lo è mai.
Questo è il concept dietro alle parole. Una chiusura con questo tipo di romanticismo, uno sguardo indietro che sorride e perdona, accoglie e va avanti. È come guardare delle vecchie foto di qualcuno che ci ha spezzato il cuore e ti accorgi che quelle foto non fanno più male.
In questo album, ho scelto a priori di non metterci chitarre elettriche, ma solo dei brevissimi accenni di chitarre acustiche per mantenere quel legame con la realtà. Il resto è tutto sintetico, sintetizzato. Una scelta, anch’essa a priori, per esaltare l’atmosfera sognante e quasi nostalgica. L’immagine che vorrei dare con questo album è quella dei film anni 80, di quei colori, di quelle strade sempre bagnate, dove è sempre notte e non sai mai cosa succede.
Chi ti piace della scena elettronica italiana contemporanea?
Questa è una domanda difficile per me. Non ho un gran rapporto con la musica italiana e di conseguenza con la scena elettronica. Ho chiaramente stima smisurata per A copy for collapse, Glanko, Adeico e tutti gli altri autori che si sono cimentati nei remix, ma il mio giudizio è infinitamente di parte.
Qui in Italia, lo dico da sempre, ci sono dei musicisti straordinari, ma fin da piccoli ci dicono che l’Italia fa schifo, e che dobbiamo quasi vergognarci di essere italiani. Io vengo da Bari, dal sud e per noi qui è ancora più pesante ed evidente questo insegnamento.
Te lo iniettano appena nato: “sei del sud”, “sei italiano”, “non vuoi lavorare”, “vattene a Londra, Berlino, negli Stati Uniti”. Questo ci insegnano ed è per questo che qui da noi regna incontrastato “il bel canto” sanremese con tutto l’abominio culturale che porta con sé e che toglie spazio a qualsiasi altra formo di musica in italia.
Qui ci insegnano che se sei italiano il massimo che puoi fare è questo. Per me è sbagliato, orribile, disgustoso.
Per essere te stesso, devi andare fuori, devi essere straniero ed estraneo alle tue origini. Io stesso scelgo di scrivere in inglese, un po’ per abitudine, ma soprattutto perché mi immagino di arrivare oltre il territorio italiano, essere ascoltato ovunque e senza troppi limiti di lingua.
Questo è il più bel posto nel mondo dove stare, e forse proprio queste nostre schizofrenie italiche, ci permettono da sempre, a noi italiani, di reinventarci, di inventare cose nuove e di fare cose strane. Dovremmo solo liberarci un po’ della vergogna.
Quali saranno i passi futuri dei Flares on Film?
In questo momento posso affermare che sto lavorando sulle demo del nuovo album. Sono entusiasta, ma al tempo stesso paralizzato. Ho quasi tutto a mente, ma ancora mi sfugge la dimensione sonora, il vestito da dare a questo album. Non ho ancora capito come realizzarlo anche se in testo ho già fatto tutto. Ci sono delle cose tecniche su cui lavoro, i limiti di qualche domanda qui sopra, che sto scegliendo per caratterizzare questo progetto.
Certo è che ci saranno nuovamente le chitarre. Ma per ora non posso dirvi altro. Nel frattempo chiaramente stiamo lavorando per i concerti e cercheremo nel prossimo anno di esportare i Flares il più lontano possibile.