Dietro al nome Francisco si celano Fabio Martino e Fabrizio Barale, già fianco a fianco nella lunga esperienza con gli Yo Yo Mundi. Il 26 ottobre uscirà il loro primo disco, Truco Blues, che prende un po’ di Sudamerica, lo bagna in acque piemontesi e fascia il tutto con aromi cantautorali. Li abbiamo intervistati.

La vostra conoscenza è antica, ma il progetto Francisco è nuovo: perché e come nasce?

Francisco, anche se all’epoca ancora non lo sapevamo, nasce grazie a una storia che ci venne raccontata dal nostro amico e attore Fabrizio Pagella. Narrava dell’esistenza di un bar, nel basso Piemonte, dove i vecchi giocavano al truco. Il truco è un gioco di carte simile al bridge, molto popolare in tutta l’America Latina (soprattutto in Argentina). E’ stato importato da quei migranti, italiani in questo caso, che fuggivano oltre oceano in cerca di fortuna verso la fine del XIX secolo.

Fortuna che per la maggioranza di essi si rivelò essere un miraggio, impossibile da sfiorare e così, dopo tanto stentare, rientrarono in Italia con pochi ricordi, tanti rimpianti e un nuovo gioco di carte come unica eredità: il truco. A noi questa storia sembrò molto evocativa e in qualche modo con un sapore “blues”, ovvero quel misto di malinconia e rivalsa che popola quel genere.

Decidemmo così di scrivere una storia, diventata ben presto uno spettacolo teatrale (si sta parlando di quasi dieci anni fa) che andò successivamente in scena per qualche replica. Le musiche di quello spettacolo sono, in parte, le musiche di questo lavoro. Quindi si può dire che Francisco nacque in quell’occasione.

Mi sembra infatti che molti brani si collochino in un “non spazio” che, forse per suggestione dettata dalla spiegazione del titolo e della vostra provenienza, sta in qualche posto tra il Piemonte e il Sudamerica. Quanto hanno inciso la storia e la geografia su questo disco?

FranciscoHanno inciso tantissimo. Infatti Truco Blues è un’ ipotetica colonna sonora di un viaggio. E’ musica che accompagna con i suoni e con le parole le immagini di quel viaggio, che parte dal Piemonte, nostra terra d’origine, ma che non si vuole fermare. Attraversa le frontiere e, con apparente casualità, scivola per le strade d’Europa, del Nord America e del Sudamerica, senza approdare mai da nessuna parte. E’ un viaggio circolare, probabilmente più immaginato che avvenuto.

Il disco si compone di brani cantati, recitati e strumentali. Perché avete scelto questa alternanza di struttura? E’ stato difficile trovare il bilanciamento giusto per il disco?

No, non lo è stato. Io e Fabio proveniamo da un’esperienza musicale che sono stati gli Yo Yo Mundi. All’interno di quella esperienza si sono fatti molti esperimenti in questo senso. Dal musicare opere filmiche (Sciopero di S. M. Ejsenstein, Maciste all’inferno di Guido Brignone, Chang: la giungla misteriosa di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack), libri (54 con il collettivo di scrittori Wu Ming), diversi spettacoli teatrali e altro ancora.

E’ stata una mescolanza di forme espressive molto stimolante e arricchente. Quindi è stato, in un certo senso, facile andare anche verso quella direzione. Poi c’è da considerare un aspetto più prettamente stilistico ovvero il tentativo di spezzare la ripetitività della forma canzone (soprattutto quella più attuale) che vede strofe e ritornelli alternarsi secondo uno standard da tempo accettato e riprodotto da molti.

Volevamo ci fosse la libertà di fare canzoni con strutture meno schematiche. Prendi a esempio Millennio. E’ una canzone, con un suo testo, ma che segue uno sviluppo armonico e melodico diciamo meno canonico. Possiamo affermare che in Truco Blues sono confluite molte delle nostre anime compositive e stilistiche.

Francisco: pensieri che sanno di scoperta

Il disco vive momenti sonori anche piuttosto diversi, penso per esempio a “Neon” che è forse meno “tradizionale” delle altre canzoni: come nasce?

Neon è un brano strumentale che vuole evocare quelle strade piene di negozi, invase dalle luci interne dei locali e dalle persone che li frequentano. E’ la passeggiata curiosa attraverso luoghi come quello appena descritto e ne vuole essere la colonna sonora. Ha questo inizio che sa di preparazione, bisognerebbe immaginare uno che scende le scale, apre la porta e si incammina per queste strade. La musica segue questa passeggiata, leggera e ritmata, segue i pensieri e la curiosità del protagonista, pensieri che sanno di scoperta, di novità.

Che cosa vi piace di più e di meno della musica italiana dell’anno 2018 (quasi 2019)?

Dovessimo trovare un punto di incontro su un lavoro che ci è piaciuto molto potremmo dire A casa tutto bene di Brunori Sas. L’abbiamo trovato intenso, attuale, sentito e vissuto. Personalmente (Fabrizio) potrei citarti anche un disco al quale ho partecipato come ospite che è il disco di Emanuele Dabbono (autore per Tiziano Ferro). Un disco registrato “buona alla prima” in tre giorni senza nessuna prova. Un disco pieno di coraggio e belle canzoni.

La cosa che ci piace di meno invece è sentire ancora tanta musica che si piega a delle logiche che probabilmente non hanno più motivo di esistere. Funziona un modo ed ecco tutti a prendere quella strada. Ecco, noi invece, in quel senso, siamo davvero in direzione “ostinata e contraria”, felici di esserlo.

Al giorno d’oggi sarebbe bello insegnare che la musica è, prima di tutto, una forma di espressione libera. Attraverso di essa chiunque può esprimere qualcosa e può affermare il proprio sentire attraverso la sincerità di un gesto. Non bisogna inseguire niente e nessuno se non il proprio sentire. Accada quel che accada. E’ questo che sarebbe bello ascoltare in giro.

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