franz boniDopo una carriera ricca e costellata di collaborazioni molto prestigiose Franz Boni (www.franzboni.it) approda a un disco da solista, Shoefiti, in cui mette in evidenza la propria creatività e versatilità su quindici tracce in bilico tra jazz e rock. Lo abbiamo intervistato.

Puoi riassumere la tua (non breve) esperienza musicale fin qui?

…Da bambino andavo a lezione di pianoforte. Il basso l‘ho scoperto a 16 anni suonando in una band di amici (facevamo già pezzi nostri) …in ogni ritaglio di tempo studiavo teoria e armonia della musica. Il primo ingaggio stagionale è stato in un’orchestra anni ’60, poi scoprendo il jazz mi sono innamorato del contrabbasso e ho frequentato il conservatorio.

Da lì è iniziata un’intensa attività live, suonando veramente di tutto, spostandomi in Francia, Germania, Svizzera, Ungheria, condividendo il palco con personalità importanti come Paolo Belli, Dario Fo, Garrison Fewell, Bruce Ditmas, Ella Armstrong… Seguono dieci anni di musica e teatro passati tra dischi e concerti in tutta Italia con il gruppo FragilVida.

Per un periodo sono stato endorser di strumenti musicali, ho continuato a scrivere musica, a organizzare eventi, a svolgere attività didattica nelle scuole di musica. Recentemente ho pubblicato come autore una collana di libri didattici dedicati al basso elettrico. Insomma, curiosità e passione sono sempre stati gli ingredienti giusti di questo percorso che accompagna da tanti anni la mia vita, fatto di soddisfazioni, musica e grandi emozioni.

Mi pare di capire che “Shoefiti” nasca da impressioni di viaggio e visive molto forti. Puoi raccontare come nasce il concept dell’album, della copertina e del titolo?

Non sono uno che ha viaggiato tanto, non sono mai andato oltre l’Europa, ma la mia immaginazione invece lo fa di continuo e riesce a regalarmi scenari inaspettati che poi rifletto nelle note. Ho avuto la fortuna di fare 3 tour italiani, on the road anche per 2 settimane e quando sei lontano da casa e dalla tua normalità, solo con la band e il tuo basso, si crea una dimensione particolare… Ricordo che alcune delle idee presenti nel disco mi sono venute in quei giorni.

Quando fai un disco prevalentemente strumentale il titolo che assegni al lavoro deve comunque lanciare un segnale, un messaggio. Il dilagare così esteso di “graffiti di scarpe” (Shoefiti) in tutto il mondo mi ha molto incuriosito, almeno per i suoi significati così diversi e contrastanti: da linea di confine per l’illegalità a semplice promessa fatta al cielo. Sinceramente, quando guardo l’immagine di copertina del cd trovo anche tanta poesia: in fondo, ognuna di quelle scarpe è lì ferma immobile a raccontarci un unica e semplice storia… e chissà da quanto tempo!

Benché tu abbia suonato nel progetto insieme a numerosi musicisti, hai scritto in prima persona tutta la musica e tenuto per te le “redini” del progetto. Puoi spiegare perché questa guida esclusiva, viaggiando nell’ambito di un genere quasi per definizione “di gruppo” come il jazz? 

Dopo aver suonato come bassista in più di 30 dischi, al servizio di autori, compositori e aver militato in diverse band, Shoefiti rappresenta quasi un bisogno, un posto dove poter custodire una manciata di idee, un piccolo contenitore di cose mie… Non è un disco jazz se non per le sonorità forse, di improvvisazione ce n’è poca… ogni cosa è stata pensata e posizionata in un punto ben preciso… e non è neanche un disco dedicato solo al basso, è semplicemente centrato su melodia, composizione e arrangiamento.

E’ stata una bella sfida: il disco è nato nella mia immaginazione, è stato prima scritto e soltanto dopo suonato. Tutti i musicisti che hanno partecipato al progetto non si sono mai incontrati in studio…io sono stato l’unico legame, hanno registrato uno a uno seguendo gli spartiti e le immaginii che avevo per la testa e che cercavo di trasmettere a loro con precisione.

Come nasce “Unchanged”?

Questo brano rappresenta la consapevolezza che il vento è cambiato, tende una mano al modo di comunicare di oggi. Da bambino ascoltavo con curiosità la musica di mio padre mentre oggi mio figlio non ha nessun interesse per la musica che ascolto io… Sono soltanto considerazioni, un prendere coscienza della realtà.  Avevo scritto un testo su un giro di accordi molto semplice che parlava del rapporto tra padre e figlio nel momento delicato dell’adolescenza.

Ero molto indeciso su questo pezzo, sentivo che mancava ancora qualcosa, serviva un contrasto di suoni: da una parte pensavo a strumenti popolari come chitarre acustiche, fisarmonica, melodia a rappresentare la visione adulta, dall’altra gli scratch e le cadenze rap a indicare l’irrazionalità adolescente. Così chiamai Luca Fattori, cantante che insegnava musica nella mia stessa scuola e gli chiesi di rendere più interessante il brano, provando a sperimentare, a interpretare il testo in due modi diametralmente opposti, cercando di unire vecchio e nuovo, rap e melodia… quello che ne è uscito è Unchanged!

Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?

Alcune idee mi sono venute con il basso elettrico, ma la maggior parte dei brani sono stati composti al pianoforte (un vecchio Wurlitzer anni ’70 che ho in studio). Attraverso Sibelius, un programma che utilizzo per scrivere la musica, ho trasformato tutti gli spartiti in file midi e con Logic-Pro li ho utilizzati come guida in fase di registrazione.

Dopo questa prima fase sono entrato al Promo Sound Studio di Finale Emilia (MO) per registrare tutte le batterie acustiche. Ho registrato le parti di basso utilizzando prevalentemente un Fender Jazz del 76 e un Precision del 69 per la parti slap e a plettro, ma anche un G&L a 5 corde, un BaCh fretless con elettronica I-Spira e un contrabbasso di liuteria tedesca.

Solo dopo aver registrato la ritmica mi sono dedicato all’inserimento dei suoni per le parti di pianoforte, synth e tutta l’elettronica. Poi ho registrato i chitarristi, i cantanti e le parti dei fiati. Una volta finite le riprese è iniziato tutto il lavoro di editing e mixaggio curato da mio fratello Stefano. Infine il disco è stato spedito in America per il master e gli ultimi accorgimenti prima della messa in stampa.

Puoi descrivere i tuoi concerti? Quali saranno le prossime date che ti vedranno coinvolto?

Suono prevalentemente Jazz e blues con diverse formazioni e nei repertori cerco sempre di inserire  mie composizioni selezionando i brani più adatti al contesto in cui sto suonando… Per promuovere Shoefiti vado in formazione trio (sax, basso, percussioni) o quartetto (con aggiunta di piano). Anche in un altro mio progetto per sola voce e contrabbasso (chiamato Plastik 2) durante i concerti eseguo sempre uno dei brani cantati estratti dal disco. Oggi portare in giro una band numerosa è impensabile, ma devo dire con soddisfazione che i brani seguiti anche in formazioni ristrette hanno comunque una buona resa.

A febbraio sarò in concerto: il 3-4-5 a Belluno, 10 a Finale Emilia, il 17 a Ferrara, il 18 a Reggio Emilia e il 29 a Bologna.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

Seguo sempre con molta curiosità il mondo musicale, specie quello indipendente, con un occhio di riguardo per l’originalità e il nuovo…e anche se queste qualità sono sempre più scarse, trovo comunque ancora diversi dischi e nuove produzioni che mi piacciono: i progetti di Brunori Sas e Mannarino sono interessanti, ma anche Levante, I Cani, Meg… Ora su due piedi mi vengono in mente questi..

Puoi indicare tre brani, italiani o stranieri, che ti hanno influenzato particolarmente?

Ascolto prevalentemente musica d’importazione e se proprio devo citare solo tre brani allora direi: 1. Wonderful world (David Sylvian & Nine Horses), 2. Tutu (Miles Davis), 3. More than this (Peter Gabriel).

Franz Boni traccia per traccia

franz boniIl disco (che si può acquistare qui) si apre con Rain on Madrid, escursione molto vivida e mossa che introduce a un mondo che viaggia spesso a cavallo tra jazz e rock, ove per rock si pensi ai King Crimson e territori limitrofi. Con Skyline entra un cantato (femminile) e si passa ai territori della bossa, con una tromba acida a colorare il paesaggio.

April è un pezzo ritmato e consistente che assomiglia a una piccola escursione. Si passa poi a una più intima Clouds, che si appoggia su pianoforte e contrabbasso per una melodia gentile e triste, con qualche piccolo glitch sonoro a rendere più interessante il contesto.

Promenade… Shoefiti apre piuttosto tranquilla salvo poi animarsi e trasformarsi in una danza indemoniata. La morbidezza di Jewel lascia spazio al ribollire di Fast Food, pezzo dinamico e crescente, che di nuovo può far pensare a Fripp e compagnia, con il basso che regge l’architettura del pezzo.

Sotto il pelo dell’acqua ecco Velvet, in cui il basso (presumibilmente fretless) si erge a protagonista in un componimento dal sapore notturno. La voce di Luca Fattori appare, in veste di fantasista, all’interno di Unchanged, di cui si è parlato durante l’intervista (sopra). Il pezzo esce un po’ dai canoni del disco per mostrare una sostanza molto viva.

T-Blues lascia le briglie sciolte e si avvicina al jazz senza farsene rapire del tutto. Più placidi e sinuosi i movimenti di Swing on the moon, con tasti neri e bianchi a riversare cascate di note in modo anche deciso e ritmato.

Arpeggios parte con fedeltà al proprio titolo, ma poi aggiunge svariati altri ingredienti, finendo per allargare il gioco alla chitarra, al flauto, a una batteria particolarmente mobile. Gypsy Queen si merita il suo titolo “à la Santana” con la performance morbida della chitarra. Con Purple invece si cambia scena, anche in modo drastico: la canzone è cinematografica, tra 007 e un poliziesco anni ’70, con qualche spruzzata di Calibro 35. Si chiude con Moving, particolarmente liquida ed evocativa.

Grande qualità, ma del resto da un musicista così esperto non ci si poteva aspettare altrimenti, e anche grande ispirazione per Franz Boni, che firma tutte le parti di un disco intenso e ottimamente suonato.

Se ti piace Franz Boni assaggia anche: Ju Bhota

 

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