Un disco, francamente, di grande livello: Prove Complesse, l’ultimo lavoro dei Fratelli Calafuria (qui la recensione) ha lasciato un segno notevole nel campo dell’originalità. Ne abbiamo parlato con i “Fratelli”.
Il vostro nuovo disco è presentato come un’inversione di rotta verso un sound punk: quali i motivi di questa svolta?
La nostra proposta, musicalmente parlando, deve molto a certi frangenti del rock “estremo” e del punk. Il fatto che si tratti comunque di canzoni in italiano, strofa ritornello per intenderci, in passato ha portato a ragionare la produzione degli album in maniera molto italiana, con la voce in primo piano ecc.
Questa volta abbiamo voluto vestire i brani in modo un po’ più cool, lasciando trasparire anche qualche imperfezione, lasciando in campo un certo tipo di approccio strumentale e vocale senza nasconderci dietro a plug-in e autotune o simili come ci era successo in precedenza. In questo senso quindi, meno “plastica”, tutto più vero, più punk.
Il vostro lavoro fin qui ha riscosso un successo notevole e vi ha
regalato anche molta visibilità: questo ha cambiato in qualche modo le vostre idee relative a questo disco? Come avete affrontato la lavorazione?
I risultati ottenuti finora ci hanno insegnato un sacco di cose. Mentre scrivevamo il disco il nostro cruccio era “fin dove ci possiamo spingere” proprio perché siamo degli impavidi sperimentatori. E non solo con gli strumenti e le note, intendo anche sperimentatori di “soluzioni”.
In “Prove Complesse” l’esperimento è proprio la semplicità, e per noi è stato anche complicato a tratti, il cercare di liberarci di una certa “postura”, l’andare contro ai dettami e agli standard imposti dagli addetti ai lavori.
Per questo ci siamo rivolti all’efficace produzione di Ale Caneva del Mobsound, e non ultimo abbiamo affidato la delicata questione del mastering ad Alex Balzama dello Swift di Londra, proprio perché non volevamo un disco che suonasse troppo italiano, come atteggiamento, che spesso è sinonimo di “wannabe americano”.
Siamo molto contenti che il pubblico tutte queste cose non le sta percependo in maniera così drastica come previsto, quindi direi che l’esperimento semplicità ha fatto centro.
Uno dei pezzi più notevoli (e stupefacenti) del disco secondo me è
“Cattive Compagnie”: qual è la genesi del brano?
Paco e io non ci vedevamo molto, eravamo un po’ “litigati”, e abbiamo passato settimane a punzecchiarci musicalmente via mail. Lui mi mandava dei riff di chitarra e io ci improvvisavo su la parte cantata rimandandogli il risultato qualche minuto dopo, come in una sorta di gara di bravura e velocità.
“Cattive Compagnie” nacque proprio così in cinque minuti, successivamente ne abbiamo sviluppato mille stesure diverse, sperimentato duemila arrangiamenti ecc. per poi ritornare all’idea originale che era la migliore, ed è quella che sentite sull’album.
In un’intervista relativa al disco precedente avete dichiarato: “Tra
un po’ di tempo credo che le cose cambieranno e ciò che è davvero
interessante verrà fuori bene, il web spodesterà i grandi pachidermi e si assesterà tutto in un linguaggio nuovo”. Quanto manca ancora, secondo voi, a questo “po’”?
Io credo già che sia tutto più meritocratico rispetto a qualche anno fa, o perlomeno che si riesca a lavorare lo stesso senza piegarsi per forza ai dettami major, c’è da dire che la comunicazione con i social crea anche tutta una serie di distrazioni e di sproloqui inutili che con la musica hanno poco a che fare e che non aggiungono sostanza.
Quando la gente non si filerà più le polemiche in internet, quando i gestori dei locali smetteranno di guardare solo il numerino dei mi piace e si ritornerà un po’ tutti a pensare concretamente alla musica, ecco forse quel “po’” l’avremo evaso.
Quasi tutti quelli che parlano di voi, scrivono che siete una “realtà
unica”, “inimitabili” eccetera. Un complimento perché siete estremamente originali oppure un limite, perché non avete provocato ancora abbastanza cerchi nell’acqua per avere un seguito?
L’originalità è un’arma a doppio taglio, certo. Ma bisogna avere il coraggio della propria natura, ed essere molto pazienti e lungimiranti. Credo che il nostro atteggiamento ci darà molte soddisfazioni sulla lunga distanza.