“Gli Elefanti”, Calvino: la recensione #TraKs
E’ uscito pochi giorni fa Gli Elefanti, il primo disco di Calvino, progetto del cantautore milanese Niccolò Lavelli per l’etichetta Dischi Mancini.
A poco più di un anno da Occhi Pieni Occhi Vuoti, primo ep, il nuovo album è stato registrato nuovamente al Blend Noise Studio di Milano con la produzione artistica di Federico Bortoletto.
Il disco è stato interamente suonato con strumentazione vintage: «Non sono stati fatti edit, “copia incolla” o pitch shift. Lo abbiamo suonato, ci siamo divertiti, e se c’è stato qualche errore abbiamo voluto che lo sentiste anche voi perché per noi è parte integrante della musica e ciò ci piace.»
Calvino traccia per traccia
E allora via con l’ascolto; pressoché classico l’atteggiamento de L’Amaro in bocca: una canzone da cantautore con strumentazione vintage, un modo di cantare alla De André su costruzioni musicali alla Battisti, con strumenti che cominciano dove gli altri hanno lasciato. Ma il resto del disco non sarà sempre così “classico”.
Per esempio ne Gli Astronauti, che ha la stessa caratteristica insistenza gentile di certe composizioni di Belle & Sebastien. Nostalgie dell’infanzia e anche qualche vezzo del cantato che invece fa pensare di nuovo alla tradizione italiana (da Conte a Jannacci).
Molto intensa e molto tradizionale Milano Est, che non si contiene e non si vergogna di certi struggimenti interni. La Milano raccontata da Calvino non è, in tutta evidenza, la metropoli dell’Expo, o almeno non è quello l’obiettivo della sua ricerca.
Gli Elefanti, title track, è portatrice di una poesia stralunata e sghemba che fa pensare un po’ agli Eels, ma con un arrangiamento meno minimale. Arriva poi La perdita del controllo, ritmata e calibrata, distesa su un tappeto d’organo.
Ginevra racconta, su superfici di elettronica sottile, con una certa delicatezza. Più rumorosa e senza dubbio sofferta Blacky, che ha un prolungato finale strumentale capace di proiettare in ambito noise/psichedelico, anche se soltanto per qualche momento.
La coda strumentale si perpetua poi nella traccia finale, Nuovo Mondo, che aggiunge pianoforte, per sommare buone quantità di dolcezza a un disco che suona sincero. Anche se poi il finale è tutto noise, come a voler cancellare l’ultimo retrogusto dalla bocca.
Senza dubbio un disco di valore, studiato nei particolari, molto ispirato, gentile quando è il caso, ruvido se serve. Calvino conferma le ottime impressioni lasciate dal suo ep precedente, e rilancia: la sensibilità di cui dà prova nell’arco dell’album è un patrimonio che non si può sottovalutare.
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